Pablo Berger e Il mio amico Robot, “un omaggio agli anni ’80”

Il mio amico Robot è una parabola sull’amicizia e l’amore senza confini firmata dal cineasta spagnolo Pablo Berger, Presentato a Cannes 2023, arriva nelle sale italiane il 4 aprile

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il mio amico robot
Il mio amico robot (Robot Dreams)

Per chi ha vissuto gli anni Ottanta, Il mio amico Robot è una miniera di ricordi, a partire da Naranjito, la mascotte dei trionfali mondiale di calcio del 1982 in Spagna di cui questo simpatico agrume era mascotte ufficiale. Pablo Berger, spagnolo, regista visionario autore di Blancanieves, rivisitazione della fiaba in chiave surrealista, girata in bianco e nero e muta come un film degli anni Venti, ha vissuto quegli anni e li ha voluti fondere con la bella graphic novel per bambini di Sara Varon Robot Dreams, che ha deciso di portare sullo schermo in forma animata.

Presentato a Cannes 2023 come evento speciale, Il mio amico Robot è una parabola sull’amicizia, l’amore, la diversità, la tolleranza e la memoria, un film per tutti e che tocca tante corde emotive diverse a seconda delle esperienze vissute o che, inevitabilmente e per fortuna, si vivranno.

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Protagonisti sono un cane che nella New York degli anni Ottanta si sente molto solo. Dopo avere visto una pubblicità in televisione, decide di ordinare un robot programmato per diventare il migliore amico del suo costruttore. Così avverrà, ma il destino li dividerà. Ma quando c’è un legame così forte, è impossibile che spezzarlo. Sarà nelle sale italiane dal 4 aprile, Il mio amico Robot, distribuito da I Wonder Pictures. A Cannes abbiamo avuto il piacere di una lunga conversazione con Pablo che ci ha raccontato la genesi del suo bellissimo film.

Perché l’ambientazione negli anni Ottanta e perché New York?

Ho vissuto a New York per la prima volta negli anni Settanta. Ci sono andato molte volte negli anni Ottanta e Novanta e ci ho vissuto nuovamente dal 1992 al 1999. Quindi volevo tornarci, ma un po’ prima di quando ci ho vissuto, in quegli anni che erano un po’ più sporchi del decennio successivo. Per me è stata una cosa molto personale, ero lì nel 1990 con una borsa di studio per fare un master in cinema alla NYU, mi sono sposato a New York, pensavo la mia vita sarebbe stata lì, ma poi ho scritto la mia prima sceneggiatura e sono tornato in Spagna. Quindi è stata l’occasione di fare il mio film newyorkese con 20 anni di ritardo. E poi volevo catturare una città che non esiste più, con la globalizzazione non è diversa da Shanghai, Parigi, Berlino. Ma negli anni Ottanta e Novanta New York era il centro del mondo.

Il film è anche un omaggio alla cultura pop di quegli anni. Ci sono i brand, c’è Basquiat ma anche le Jelly Belly.

Amo la cultura pop. È stato un piacere inserire queste strizzatine d’occhio, delle piccole sorprese e dei dettagli sullo sfondo. E poi volevo fare un film realistico. Quella era New York. Ho avuto un team che si è occupato di tutti questi particolari, contattando tutte le aziende per ottenere le autorizzazioni. È stato un lavoraccio, ma ne è valsa la pena, perché se vuoi parlare di emozioni vere devi mostrare anche la realtà.

La musica è la protagonista aggiunta del film.

L’esperienza di Blancanieves è stata fantastica sotto ogni aspetto. Ho amato realizzarlo e ha avuto molto successo. Ma mi piace cambiare. Così ho fatto Abracadabra, una commedia molto strana, unica in qualche modo. Ma credo che ciò che rende il cinema speciale sia scrivere con le immagini, è la mia idea di cinema puro. Quindi aspettavo di fare un altro film senza dialoghi ed è stato un grande piacere. E quando non hai le parole, è la musica che deve parlare.

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Lavoro sempre con lo stesso compositore, Alfonso de Vilallonga, un genio che riesce a creare melodie incredibili e con un gusto molto eclettico. Questa volta abbiamo privilegiato il jazz e un pianoforte molto melodico, e poi il pop. La mia collaboratrice più stretta è mia moglie Yuko Harami, la mia consulente musicale e anche produttrice. È con lei che ho scelto September.

Ecco, parliamo di September, ovviamente nella versione originale degli Earth Wind and Fire.

Quandi siamo incappati in questa canzone ho detto “e se fosse questo il tema principale del film?”. Mi è entrata in testa e non più andata via.

A proposto delle partiture di piano, ricordano molto quelle di Vince Guaraldi per i film dei Peanuts.

Hai ragione, te ne sei accorto, adoro il tema di Vince Guaraldi, è super jazz, emotivo ed è una di quelle melodie che ti porta da qualche parte, che era quello che volevo. Volevo che gli adulti si sentissero bambini e trattare i bambini da adulti per permettere loro di affrontare argomenti importanti come l’amicizia e l’amore.

È il suo primo film d’animazione, e attualmente la Spagna ha una delle migliori produzioni animate d’Europa. Quanto ci è voluto per mettere insieme la produzione e quanto l’esperienza dell’industria animata spagnola è stata utile?

Sono d’accordo, penso che l’animazione spagnola sia fantastica. Unicorn Wars di Alberto Vázquez è fantastico. Il suo produttore è stato mio consulente per questo film, perché quando ho iniziato a lavorarci avevo tutto da imparare e mi ha sostenuto molto. Ci sono tanti progetti animati interessanti in arrivo nei prossimi anni nel cinema spagnolo, è davvero un buon momento per il genere.

Il film è tratto da una graphic novel, come mai ha deciso di farne un film.

Sono abituato a lavorare su mie sceneggiature originali. La ragione per cui ho deciso di trarre un film dal romanzo a fumetti di Sara Varon sono state le ultime due pagine, sette tavole in tutto. Quando le ho viste mi sono detto “Wow, qui c’è un film”. E ho deciso che avrei fatto un film d’animazione, anche se ci avessi dovuto mettere dieci anni. Non lo aveva mai fatto, sinceramente pensavo che non lo avrei mai fatto nella vita, ma ho dei produttori avventurosi che mi sostengono, mi trattano come fossi un bambino e loro i  genitori che mi dicono: “Puoi farcela, puoi farcela”. Quando ho presentato loro il progetto hanno detto: “Ok, facciamolo”. Abbiamo dovuto creare uno studio dal niente, mettere insieme un team di animatori, il tutto durante il Covid. È stata dura, ma ne è valsa la pena.

Il mio amico Robot è davvero un film per tutti.

E non penso sia una cosa negativa. Fare un film per famiglie non mi rende meno autore, ci sono tante cose che possono entusiasmare anche un consumato cinefilo. Non voglio escludere nessuno, il cinema è un’arte popolare e per tutti, i film dovrebbero essere visti tutti insieme da persone di diverso stato sociale, età ed etnia. E poi volevo rispettare i bambini, non consolarli con un lieto fine e un film pieno di unicorni dove tutto è rosa. Volevo dare loro la realtà che può essere bellissima ma contemporaneamente anche triste.