Leonardo e quel capolavoro perduto

Arriva in sala il docu-thriller di Andreas Koefoed, che prova a far luce sulla «vicenda più improbabile che sia mai accaduta nel mercato dell’arte»

0

Da frutto eccelso del Rinascimento, periodo che valorizzava la libertà della scienza, dell’arte e della cultura, a vittima di interessi, giochi di potere e affari nebulosi. È il triste destino toccato al Salvator Mundi, una delle opere più celebri di Leonardo da Vinci, che dopo esser sparito per decenni, è stato rinvenuto (pare) quasi per caso per poi essere risucchiato, fra luci e ombre, dal mistero. Quello che il regista Andreas Koefoed racconta in Leonardo. Il capolavoro perduto (al cinema il 21, 22, 23 marzo per il progetto La Grande Arte al Cinema di Nexo Digital, dopo il debutto al Tribeca Film Festival e il successo alla Festa del Cinema di Roma), è «una storia vera, ma anche una fiaba degna di Andersen» che fa appassionare, incanta e sconvolge lo spettatore.

LEGGI ANCHE: Leonardo. Il capolavoro perduto, il trailer

Diviso in tre capitoli, il docu-thriller è una full immersion nel mercato dell’arte che – come rivela uno degli intervistati – «dopo la droga e la prostituzione, è il più redditizio al mondo». E in effetti, più che di pennelli e tecniche pittoriche, si parla di soldi. Si parte dai 1175 dollari che nel 2005 il cacciatore di sleeper Alexander Parish spese col collega Robert Simon per acquistare, in una casa d’aste di New Orleans, una misteriosa versione, forse una copia di una copia di una copia, del Salvator Mundi di Leonardo da Vinci. Dodici anni dopo il quadro venne acquistato in un’asta da Christie’s per la cifra di 450 milioni di dollari (è l’aggiudicazione più alta della storia dell’arte) da un misterioso compratore probabilmente collegato al principe saudita Mohammad bin Salman.

Il regista Andreas Koefoed ripercorre con piglio investigativo il percorso avventuroso del quadro fra restauri, istituzioni e rapporti diplomatici, trattative e porti franchi. Lo segue in mondi dove «tutto può essere comprato e venduto, dove prestigio, potere e denaro giocano sotto la bella

Per riparare l’opera, logorata dal tempo e da precedenti interventi, Parish e Simon affidarono la ripulitura a Dianne Dwyer Modestini, che scovò un dettaglio relativo al labbro del soggetto «inequivocabilmente simile a quello della Gioconda». La restauratrice, che interviene anche nel film, non ebbe dubbi: «Nessuno avrebbe potuto dipingere questa opera tranne Leonardo». Ma la convinzione della Modestini non fu accolta da tutti (secondo alcuni curatori e critici si sarebbe spinta a ritoccare fino all’85% dell’opera). Si aprì così un ampio dibattito che sembrò sedarsi solo quando la National Gallery di Londra, nel 2008, fece riunire i più illustri esperti attorno a un cavalletto, e tre anni dopo presentò, nella mostra dedicata al pittore, l’opera come autentica. Un riconoscimento che diede il via «alla vicenda più improbabile che sia mai accaduta nel mercato dell’arte», oltre che a una corsa al rialzo per la vendita.

Dai primi proprietari il dipinto passò allo svizzero Yves Bouvier e da lui all’oligarca russo Dmitry Rybolovlev per 127 milioni di dollari, fino ad arrivare a Christie’s. E oggi? Le sue tracce si sono perse. Pare sia custodito su uno yacht del principe saudita mentre è certo che non è mai stato esposto al Louvre, come invece era previsto. Non trova così un epilogo una vicenda dove non ci sono certezze, ma solo un coro di voci (nel film compaiono anche agenti dell’Fbi ed ex operativi della Cia) e un gigantesco dubbio al quale sembra impossibile rispondere: «A oggi – conclude il regista – non ci sono prove conclusive che il dipinto sia, o non sia, di Leonardo. E finché c’è un dubbio, persone, istituzioni e stati possono di fatto “usarlo” per lo scopo che risulta loro più utile». E così la storia prosegue: a caccia del quadro, ma soprattutto della verità.