Ligabue – È andata così, la prima docu-serie sulla carriera artistica di Luciano Ligabue

Un biopic in 7 capitoli, ciascuno composto da 3 episodi di circa 15 minuti

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Sette capitoli, ciascuno composto da tre episodi di 15 minuti, dentro c’è tutta, o quasi, la vita di Luciano Ligabue, l’artista, il cantautore, il regista, lo scrittore, l’amico, il fratello, il padre. Disponibile da domani su Raiplay LIGABUE – È andata così è la prima docu-serie che ripercorre i 30 anni su e giù da un palco del Liga, attraverso la voce narrante di Stefano Accorsi, con la regia di Duccio Forzano. «All’inizio è stato difficile capirne la forma, non capivo dove potevamo andare a parare – racconta Ligabue – Ci siamo agganciati al numero che da sempre segna la mia vita, il sette,  dividendo gli argomenti  che avrebbero potuto mettere insieme una puntata, unitamente alla scelta di tirar dentro Stefano Accorsi, con cui c’è un’amicizia di vecchia data, cazzeggiare ci viene abbastanza bene». Nella serie non c’è solo il racconto delle luci, ma anche delle ombre di una carriera in cui per tre volte l’artista è  entrato in una crisi profonda, sull’orlo della scelta del ritiro. «Vengo da una scuola di pensiero tutta mia, ovvero che le canzoni dovrebbero saper parlare da sole – ammette Liga – Ma è un pensiero un po’ codardo, vuol dire mandare avanti quelle. Nella terza puntata intitolata Parlaci di te smentisco un po’ uno dei tre o quattro aggettivi che mi vengono appioppati, ovvero che sono uno riservato, uno che si tiene le cose per sé e che non le comunica agli altri, perché racconto le parti più intime di me. Nella quinta invece affronto le mie tre crisi professionali, in una delle quali avevo deciso di ritirarmi, anche se capisco che non sia popolarissimo farlo, perché non ti porta a casa gli stessi  punti dello sbandierare i successi». La quarta puntata è quella più incentrata sul cinema, con i tre film che l’artista ha scritto e diretto. «Si intitola Facci un po’ vedere e per ogni episodio c’è  uno dei miei tre film, con Stefano Accorsi ovviamente ci siamo sbizzarriti». 

Cosa è cambiato i questi 30 anni di carriera? « E’ cambiato tutto, anche io lo sono in diversi aspetti, ma è stato appassionante rivedersi. Dando un’occhiata nei miei  30 anni pre Covid rimango impressionato dalle cose fatte tra canzoni,  film, libri: significa che sono sempre andato a testa bassa,  a manetta, ero in dipendenza. Il covid, nella sua tragicità, mi ha costretto a guardare indietro, è stato il primo momento in cui ho fatto i conti con quello che avevo fatto prima». E ora che la scia tragica del virus sembra esaurirsi, il futuro è a portata di mano, a giugno tornerà a cantare, con il suo concerto evento  a Campovolo rimandato da due anni. «Non vedo l’ora, vengo da un’astinenza tremenda, guardo a giugno come un obiettivo che merito io e chi ha avuto la bontà di conservare il biglietto per questi due anni». Tanti gli amici che hanno voluto accompagnarlo in questa docu-serie che lui stesso definisce “ricco di ciccia”, tra loro Walter Veltroni, Nicoletta Mantovani, Gino e Michele, Linus, Massimo Recalcati, Eugenio Finardi, Francesco De Gregori.  

La scelta di affidare a Duccio Forzano la regia è stata inevitabile? «Non avrei potuto accettare di girarla io, rischiava di diventare troppo a senso unico, c’era bisogno del punto di vista e dell’esperienza di Duccio». Nel suo futuro potrebbe esserci un altro progetto televisivo, magari da regista? «C’è una promessa che ci facciamo io e Stefano alla chiusura di questa serie e riguarda quello che faremo in futuro, ma essendo il finale non lo posso spoilerare». Non sarà in gara a Sanremo, ma Liga che alla Festa del cinema di Roma presenterà il corto Sogni di rock’n’roll insieme a Fabrizio Moro che l’ha diretto, aspetta di esibirsi finalmente di fronte al “suo” pubblico. «La mia stella polare è sempre stata una, il fatto che non potevo rinunciare a fare concerti. Lo spettacolo personale è la gente che ho di fronte, persino migliore di quello che offro io a loro, è stato un peccato farne a meno».