Moon Knight e l’inquietante scena iniziale, Hawke rivela: “è nata dalla mia immaginazione”

Hawke svela perché Isaac lo ha scelto e come è nata la prima inquietante scena che apre la serie

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Ethan Hawke in Moon Knight

SPOILER ALERT: non leggere a meno di non aver visto il primo episodio di Moon Knight.

Mentre in sala arriva Morbius, su Disney + è disponibile Moon Knight, altro nuovo capitolo del Marvel Cinematic Universe, una storia tanto sugli dei dell’Egitto quanto sui supereroi. Ethan Hawke, che ha già un posto nell’Olimpo del panorama cinematografico, interpreta il dottor Arthur Harrow della serie a fumetti, antagonista di un Oscar Isaac dalle molteplici personalità nei panni di Steven Grant.

La carriera di Hawke abbraccia un arco di più di 35 anni, con quattro nomination all’Oscar al suo attivo. Attore, scrittore, regista e produttore, Hawke ha trascorso la maggior parte del tempo sullo schermo in progetti noti più per gli intensi monologhi che per la mitologia ultraterrena. A parte qualche film di fantascienza (Gattaca, Valerian e la città dei mille pianeti) e poemi epici in costume (I magnifici sette) – per non parlare delle interpretazioni moderne in Grandi speranze e Amleto – per Hawke Moon Knight segna la sua prima volta in questo genere.

In Moon Knight Arthur affronta Steven, commesso di un negozio di articoli da regalo nel museo britannico, nonché, nella sua altra identità, ex mercenario Marc Spector. Il motivo per cui Isaac ha proposto a Hawke questo ruolo in un bar di Brooklyn è chiaro.

La scena iniziale in cui Arthur rompe con il suo bastone un bicchiere e mette i frammenti di vetro nei suoi sandali è stata un’idea dello stesso Hawke. È un inizio inquietante per la serie che porta il pubblico nella mentalità di questo personaggio “mezzo monaco e mezzo dottore“, e Hawke lo incarna bene.

Non c’è bisogno di essere terrorizzati. Non sono un supercriminale, ne interpreto solo uno in TV“, scherza Hawke nell’intervista a Variety in cui lui e Isaac hanno rivelato i metodi che stanno dietro le loro trasformazioni e si sono soffermati sul controverso disegno di legge “Don’t Say Gay”.

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Hawke ha spiegato di essere stato immediatamente incuriosito dall’opportunità di recitare al fianco di Isaac, ma sono state le sue conversazioni con l’attore, produttore esecutivo e regista Mohamed Diab e il capo dei Marvel Studios Kevin Feige a convincerlo ad accettare la parte.

Ecco come e perché Hawke è entrato nella psiche di Arthur.

Hai interpretato questo ruolo senza leggere la sceneggiatura: cosa di Arthur ti ha fatto venire voglia di dire di sì?

“Per lo più era solo che si trattava di una nuova leggenda, un nuovo supereroe. Adoro il fatto che non era un percorso già battuto e che abbiamo dovuto ripensarlo. Era qualcosa di cui non sapevo nulla. Quindi avrei potuto creare un nuovo personaggio, sperimentare e creare qualcosa di nuovo. È una svolta per me.

In un certo senso, è un po’ come un indie perché stai iniziando un nuovo percorso, ma è solo un indie con il budget più alto di sempre.

Sì, esattamente. È un indie che può permettersi di costruire piramidi.

Cosa ti ha sorpreso di più dell’entrare nel mondo Marvel?

Ogni altra esperienza che ho avuto nel cinema generalmente prevedeva che più soldi ci sono, più la produzione è timorosa. Vogliono davvero che tu faccia le cose con lo stampino, bisogna fare quello per cui sei stato pagato, non hanno idee.

La Marvel ha chiaramente un buon rapporto con gli attori. La metafora che mi piace usare è che devi cucinare nella loro cucina e usare i loro ingredienti, ma una volta che sei in cucina, e con i loro generi alimentari, puoi fare quello che vuoi. Quindi è stato divertente.

Sono rimasto colpito. Hanno una fiducia enorme. Molte persone che hanno davvero successo diventano fragili e arroganti. Mentre le persone meravigliose diventano sicure di sé, credono negli altri e invece che esercitare il potere sugli altri, danno potere alle persone. Hanno davvero stimolato Oscar, Mohamed, me, May e altri che lavoravano alla serie a cercare di divertirsi e provare a creare qualcosa a cui tenevamo. Perché fondamentalmente scommettono sul fatto che se fosse piaciuto a noi, sarebbe piaciuto anche ad altre persone.

Hai detto che Oscar ti ha messo alle strette in un bar e ti ha chiesto di unirti a lui in questa avventura. Tu hai già fatto film ad alto budget, ma lui ha anche fatto Star Wars e X-Men. C’era qualcun altro oltre a lui a cui ti sei rivolto per chiedere come fosse davvero lavorare con la Marvel?

Anni fa ho fatto un film intitolato Sinister diretto da Scott Derrickson, che ha anche diretto Doctor Strange e gli ho parlato a lungo dell’esperienza. Era molto convinto del fatto che mi sarei divertito. Fondamentalmente diceva: ‘Se dai loro energia, ti divertirai’, nel senso: ‘Riuscirai a tirare fuori quello che ci hai messo’.

Ho chiamato Mark Ruffalo [che interpreta il Dr. Bruce Banner/Hulk dal The Avengers del 2012], e mi ha detto la stessa identica cosa: ‘Le persone che non si divertono sono persone che non vogliono mettersi in gioco; se sei disposto a metterti in gioco, te lo lasceranno fare’. Vincent D’Onofrio, che ha interpretato Fisk in Daredevil, ha detto la stessa identica cosa. [Marvel] gli ha davvero permesso di creare un personaggio pazzesco e indimenticabile che non pensava che altri gli avrebbero permesso di fare.

Dato che non avevi letto la sceneggiatura, come hai appreso del modo piuttosto “croccante” in cui ci viene presentato Arthur?

Quella [scena] è davvero nata dalla mia immaginazione e dalle nostre conversazioni. Quando leggi un fumetto, alcune pagine hanno otto disegni, alcune ne hanno 16, altre ne hanno quattro, e poi ogni tanto il cattivo a pagina intera. Continuavo a chiedere agli sceneggiatori e ai registi, se fosse un fumetto, quale sarebbe il suo disegno a tutta pagina? E loro dicevano: ‘Quale pensi che sia?’. Ho iniziato a riflettere su questo e ho pensato a persone spirituali che impazziscono, che diventano matte per il proprio orgoglio spirituale, e mi sono accorto che spesso questo li lacera dall’interno e in qualche modo li porta ad odiare se stessi. Perché tutti abbiamo peccato e l’idea che qualcuno sia libero dal peccato non è realmente possibile se sei umano. E così, con quest’odio e rifiuto di sé, mi è sorta l’immagine di lui che ascolta un inno mentre mette pezzi di vetro nelle sue scarpe e si nasconde dalle altre persone.

Sapevo che aveva un bastone e continuavo a dire: ‘Aspetta, ho un bastone. zoppico?’. Dicono: ‘No, non zoppicare’. E ho pensato: ‘Ah, so perché ha un bastone’. Così ho detto loro questa idea. E questo è ciò che intendo dire su ciò che è stato così sorprendente della Marvel: mi hanno detto: ‘Giriamolo. Questa è una grande idea. Apriamo la serie con questo’. Dico: ‘Okay, beh, immagino che questi ragazzi vogliano rischiare’.

Volevano andare fino in fondo. Volevano che tu sapessi esattamente con che genere avevi a che fare. Allora, cosa c’era nei sandali?

Era solo un bicchiere fatto zucchero: si polverizza abbastanza facilmente, quindi i miei piedi stanno bene.

Hai citato Carl Jung e David Koresh come fonte di ispirazione per questo. Che tipo di ricerca stavi facendo? O si trattava più dell’atmosfera?

Con Carl Jung mi sono davvero immerso, perché guardavo Oscar prendere davvero sul serio l’aspetto della malattia mentale del suo personaggio. Ne leggeva costantemente e ne parlava, quindi imparavo da lui e vedevo quanto si adattasse al panorama di un film di supereroi.

Perché il disturbo mentale parla molto attraverso il linguaggio onirico e per metafore e si assumono queste personalità archetipiche e la loro vita onirica è uno degli spazi più sani, perché è uno spazio unito. Ho iniziato a pensare: ‘Carl Jung scriveva sempre molto sui sogni’. Non sapevo molto di Carl Jung, quindi ho iniziato a leggere tutto su di lui e ho iniziato a scoprire che molte delle sue citazioni più famose parlavano davvero con un linguaggio di questo tipo, e ho iniziato a improvvisare su questa combinazione di metà monaco, metà medico. È lì che mi ha portato il mio cervello.