“Un altro me”, la violenza sulle donne vista da chi la commette: la clip

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Sergio, Gianni, Giuseppe, Valentino, Carlo ed Enrique sono detenuti nel carcere di Bollate. Sono degli uomini apparentemente come tanti, che a un certo punto si sono macchiati di un crimine orrendo: la violenza sessuale nei confronti di una donna. E dopo aver scontato la pena, rischiano di ricascare nel medesimo meccanismo e commettere reato di nuovo perché, soprattutto in questi casi, la detenzione è un deterrente ma non basta. A raccontarli, e a documentare il percorso di cura che per un anno hanno intrapreso dietro le sbarre con l’Unità di Trattamento Intensificato per autori di reati sessuali, è il documentario Un altro me di Claudio Casazza,al cinema dal 13 aprile distribuito da Lab80.

Casazza porta lo spettatore dritto nel carcere di Bollate, gomito a gomito con i detenuti per 12 mesi, fra i colloqui con l’equipe di criminologi, psicologi e terapeuti che ha portato avanti con loro il primo esperimento in Italia per evitare che le violenze siano ripetute. Cosa ha spinto questi uomini alla violenza? Cosa pensano del proprio reato? Un viaggio introspettivo per certi versi da brivido, come dimostra la clip in esclusiva che vi mostriamo qui sopra.

Colloqui duri su temi per forza scabrosi, che però aiutano a comprendere, pur con il necessario filtro del “fuori fuoco” anche per proteggere l’identità dei protagonisti, che la violenza non nasce mai per caso, ma è il prodotto di condizioni sociali e psicologiche, di alibi culturali, che è necessario tentare di cambiare alla radice. Così Sergio, Gianni, Giuseppe e gli altri raccontano come sono arrivati a commettere violenza: alcuni tentano di auto assolversi, altri sono spietati con se stessi, altri ancora non comprendono la posizione della vittima, finché gli psicologi non fanno loro incontrare una donna che ha subito violenza fin da bambina, e ha scelto di raccontare la sua testimonianza proprio per cercare di cambiare le cose.

Il film, prodotto da GraffitiDoc con il sostegno del Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Piemonte Doc Film Fund, ha il merito di non giudicare, di non “esibire il mostro”: anzi, a colpire di più è proprio la quotidianità del lavoro degli esperti con i detenuti, la loro capacità di esplorare e modificare i loro atteggiamenti pezzo per pezzo, sulle piccole cose, affinché questi uomini possano davvero costruire “un altro sé”, e ricominciare davvero.

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