Nata per te, Fabio Mollo: «Il cinema mi ha cambiato la vita»

Nata per te racconta la lotta per ottenere l’adozione di una bimba con la sindrome di Down. In sala dal 5 ottobre con Vision. Abbiamo incontrato Fabio Mollo, il regista

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Nata per te Fabio Mollo
Set del film "Nata per te" di Fabio Mollo. Nella foto Fabio Mollo e Pierluigi Gigante. Foto di Gianni Fiorito

Nata per te. Come è iniziato tutto?

Mi ha coinvolto Cattleya. Avevo già fatto Il padre di Italia che parla di omosessualità e paternità e non volevo ripetermi. Ma ho capito che Nata per te sarebbe stato diverso. È la storia di una bellissima eccezione, perché in Italia single e coppie gay non possono adottare.

Temi che sfiorano la sua sensibilità?

La storia rappresenta qualcosa di importante per me. Abbiamo voluto raccontare questo slancio di bene assoluto di Luca, ma anche le difficoltà enormi, tra preclusioni e ostacoli, che in Italia si incontrano per poter fare un gesto d’amore così puro.

LEGGI QUI: Nata per te, la recensione del film sulla storia di Luca Trapanese

Conosce persone che hanno adottato?

Il ricordo più bello della mia infanzia è l’adozione di mia sorella, gesto meraviglioso di genitorialità. Da adulto, col mio compagno, mi sarebbe piaciuto adottare, ma subito ci siamo scontrati con la realtà dei fatti.

Che lavoro è stato mettere in scena temi delicati come la disabilità e l’adozione?

Per prima cosa ho preso un treno e sono andato a Napoli. E ho passato più tempo possibile con Luca, Alba e la loro famiglia allargata. Ho visitato i centri che Luca ha messo in piedi perché era importante conoscere il suo sguardo sulla disabilità. Dirigere i ragazzi è stata un’esperienza meravigliosa.

E poi c’è un lavoro sul fronte giuridico.

Ci ha seguiti un’associazione di avvocati che si occupa di diritti delle famiglie non tradizionali e ci ha aiutato a raccontare nel modo più giusto e realistico. Perché l’antagonismo in questa bella storia è proprio la realtà legislativa che c’è in Italia.

Set del film “Nata per te” di Fabio Mollo. Nella foto Pierluigi Gigante e Iaia Forte. Foto di Gianni Fiorito

Legge che lei ha definito «ingiusta e obsoleta».

Penso debba essere superata. Con il passare degli anni le leggi devono evolvere insieme alla società. Come è accaduto in molti paesi europei. Trovo incredibile che l’Italia ancora non riesca a ridiscutere i meccanismi dell’adozione.

Quindi c’è chi dirà: “Cose che succedono solo nei film”.

La cosa bella di Nata per te è che è una storia vera. Ciò che sembra impossibile può diventare reale. E io mi auguro che il messaggio sia contagioso per le coppie o i single che vogliono adottare, che doni loro la forza per insistere e lottare. Spero anche che i giudici dei tribunali dei minori ne vengano contagiati e inizino ad aprirsi a sentenze più inclusive nei confronti dei genitori adottivi.

Di Luca si dice: “È il tipo che può spostare le montagne”.

È vero. La sua lunga esperienza di lavoro nel sociale per le persone con disabilità – nuovo grande tabù – dimostra che è stato capace di creare cose impossibili.

L’ostinazione può far la differenza?

Luca è una di quelle persone che ha quel mix di carisma e slancio incosciente per cui tutto è possibile. E su questi elementi abbiamo creato il personaggio nel film.

Ha sentito responsabilità nel dirigere questo film?

Profonda. Nata per te è la storia di un uomo che trasforma la disabilità in bellezza e l’impossibilità in realtà. Ma il ragionamento di fondo è discriminatorio: questa adozione è stata possibile perché bambini come Alba vengono considerati non adottabili, non desiderabili. E quindi vengono dati alle persone che non sono degne di adottare. Era importante riuscire a spiegare questa contraddizione, quanto sia violento il ragionamento che c’è sotto.

Per Trapanese l’uscita del film è «un atto di resistenza e coraggio. E il fatto che raggiunga il pubblico una rivoluzione». È così anche per lei?

Assolutamente sì. Ho voluto fare il regista perché il cinema mi ha cambiato la vita, mi ha insegnato a capire il mondo e avere la forza di combattere le mie battaglie. Per anni il cinema ha emarginato queste storie di diritti civili. Riuscire a raccontarle nel mainstream è un privilegio e un bel segnale. Il 5 ottobre, bene o male che vada, lo vivrò come una grande festa. In 10 anni di carriera, dopo tanta gavetta, finalmente sono riuscito a fare un film così.