Torino Film Festival 2018, l’assoluto Jean Eustache

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La maman et la putain

La seconda delle retrospettive che il Torino Film festival ci propone quest’anno è quella su Jean Eustache. Eccentrico e appartato, disperatamente autolesionista nel suo rigore, il cineasta francese potrebbe essere considerato in qualche modo come la propaggine estrema e consequenziale della nouvelle vague.

Jean Eustache

SENZA COMPROMESSI – Jean Eustache nacque nel 1938 (a Pessac, a sud ovest di Bordeaux) e nel 1957 pur di non partire a combattere contro gli algerini, tentò il suicidio, tagliandosi le vene; ci sarebbe riuscito 24 anni dopo con una pallottola al cuore. Perché per lui, ogni via di compromesso non sarebbe stata neppure concepibile. Grazie alla moglie si avvicinò ai Cahiers du Cinema e al mondo del cinema (diventando amico di Godard) e nel 1962 girò il suo primo corto, La soirèè, non concluso.

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OPERE FOLGORANTI – Grazie a Paul Vecchiali cominciò a fare sul serio, cercando da subito, con i suoi lavori, l’assoluto della verità, scavando a fondo (cioè filmando) quello che gli stava più vicino, gli amici, la vita di quartiere, provando a superare l’eterno insuperabile scarto tra rappresentazione e realtà. Vennero così opere folgoranti come Les mauvaises frequentations (1963), Le Père Noel a les yeux bleus (1966) – con quel Jean-Pierre Leaud, in qualche modo così simile a lui nelle inquietudini e persino in certa nevrotica messa a nudo cerebrale -e poi esempi di cinema-veritè improvvisata e pulsante come La rosière de Pessac (1968), apripista di una serie di documentari originali, tra cui Le cochon (1970), Numero zéro (1971).

La maman et la putain

UN SUCCESSO INASPETTATO – Nel 1973 il capolavoro, quello che ancora oggi è il film cult di una generazione post-sessantottesca, sulle sue disillusioni e la sua volontà, che si infrange nell’impotenza, comunque di reinventare le regole del mondo: La maman et la putain, oltre tre ore sulle giornate di un “Lebowski” antelitteram francese (diciamo così), interpretato da Jean Pierre Leaud che praticamente si avvita su se stesso, inconcludente e diviso tra due donne, interpretate da Bernadette Lafont e Françoise Lebrun. Proiettato a Cannes, La maman et la putain divise critica e pubblico ma non tanto da non meritarsi il Gran Premio della Giuria (nonostante il parere fortemente contrario della Presidentessa della stessa, Ingrid Bergman).

Mes petites amoureuses

UNA DELUSIONE INSOSTENIBILE – Un successo forse non preventivato che lo spinse a cercare un bis appena un anno dopo, Mes petites amoureuses, in qualche modo dalle forme ancor più radicali, a tema come sempre più o meno personale, sulle traversie di un adolescente cresciuto dalla nonna nel Midi e poi reclamato dalla madre a Narbonne. La sua recitazione straniata, teatrale, lo allontanò dal pubblico che gli tributò un clamoroso insuccesso. Uno choc dal quale il 36enne Eustache artisticamente non si riprese più.

une sale histoire

RISCOPRIRE EUSTACHE – Girerà ancora tre corti, il narrativamente sperimentale Une sale histoire (1977), seguito da Le jardin des delices de Jérome Bosch (1980), in qualche modo ostico più del precedente e infine l’intimo Les photos d’Alix (1981), come gli altri e forse ancor più incentrato sul svelamento delle tattiche della costruzione della finzione. Opere destinate all’emarginazione, ma sempre costruite sul rigore di un cineasta disperatamente in cerca di un pubblico che ormai non poteva più esserci (arrivavano gli anni ’80!). Così il 3 novembre dello stesso anno, Jean Eustache volontariamente ci lasciò. Il Torino Film Festival ci propone l’intero corpus di un’opera forse quantitativamente limitata, ma dotata di una mirabile continuità e coerenza di intenti (diceva: “i film che faccio sono autobiografici come la finzione può essere”) , oggi fondamentale non solo per capire il “come eravamo”, ma anche il “come avremmo potuto essere” e, perché no?, “come potremmo tornare a essere”.