L’Irlanda di Cillian Murphy ha aperto la 74esima edizione della Berlinale con l’anteprima mondiale di Small Things like These del belga Tim Mielants. Tratto dall’omonimo bestseller internazionale di Claire Keegan, Piccole cose da nulla (Einaudi, 2022) il film riporta a galla il triste e lugubre caso irlandese delle Magdalene Laundries (Lavanderie Magdalene), vere e proprie prigioni mascherate a istituti femminili nelle quali venivano trattenute giovani ragazze orfane e incinte. Attivi fin dall’Ottocento per mano di suore cattoliche, i suddetti istituti furono ufficialmente destituiti nel 1996, dopo aver ospitato oltre 30.000 donne in condizioni disumane.
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Lo scandalo delle Laundries risuona ancora vivo nelle coscienze del popolo irlandese e proprio da quest’ingombrante “trauma collettivo” prende spunto il romanzo di Claire Keegan, letto e amato da Cillian Murphy il quale, nel mezzo delle riprese di Oppenheimer, è riuscito a metter velocemente su una squadra di amici e storici collaboratori per farne un film, scritto da Enda Walsh, diretto da Tim Mielants (con il quale aveva lavorato alla terza stagione di Peaky Blinders) e prodotto dallo stesso Murphy con Alan Moloney e la loro Big Things Films insieme alla Artists Equity di Matt Damon e Ben Affleck.
IL FATTO
Natale 1985, contea di Wexford, in Irlanda. Il commerciante di carbone Bill Furlong (Cillian Murphy), marito e padre di cinque figlie, gira per villaggi con il suo camion carico di legna, torba e carbone. Durante una consegna nel convento locale si imbatte in una giovane donna impaurita, nascosta tra le macerie di carbone, che lo supplica di aiutarla a fuggire. La richiesta, soffocata dal silenzio di una comunità che fa finta di non vedere, soggiogata dalla potente Suor Mary (l’ottima Emily Watson), costringe Bill a confrontarsi con il suo passato mettendolo di fronte ad una scelta cruciale: agire o non agire?
L’OPINIONE
Ci sono segni di Robert Oppenheimer nel volto di Bill Furlong in Small Things like These, o meglio, in quelli di Cillian Murphy, che dopo l’interpretazione che probabilmente lo condurrà alla vittoria del suo primo Oscar, porta nuovamente con sé gli echi di un fardello morale, fatto di attacchi d’ansia e sguardi persi nel vuoto, freddi e annichiliti. E se nel film di Nolan il cattivo da combattere era il potere politico, oltre che il peso morale di un’azione distruttiva, nel contesto più piccolo di Small Things like These si gioca all’inverso sulla non-azione, sul silenzio di una comunità pietrificata che da provinciale diventa universale. “Per andare avanti in questa vita, ci sono cose che devi saper ignorare” gli dice sua moglie Eileen (Eileen Walsh), severa, di fronte ai primi allarmi, un po’ come la Kitty di Emily Blunt, sempre in Oppenheimer. Questa volta però il protagonista non è un eroe: Bill è un uomo semplice, buono, alle prese con un trauma infantile mai superato. E se «l’arte può essere un cerotto utile per certe ferite» come ha spiegato Murphy in conferenza a Berlino, il film di Mielants, lugubre e scuro nella fotografia, cerca di illuminare quei ‘piccoli gesti’ (da qui il titolo) che possono dare dignità a una vita intera. Ci riesce, seppur peccando di troppa rigidità, sfuggendo intelligentemente allo scontro con il melodrammatico fino all’ultimo.
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Magdalene (The Magdalene sisters) di Peter Mullan del 2002 e Philomena (2013) di Stephen Frears con Judi Dench.