Un uomo felice, se la moglie del politico conservatore è transgender

Nelle sale dal 9 marzo il film francese con Fabrice Luchini nei panni di un sindaco bigotto la cui moglie (Catherine Frot) inizia una transizione di genere

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«Sono un uomo. E lo sono sempre stato», confessa finalmente Edith (Catherine Frot) a Jean (Fabrice Luchini), sindaco conservatore di una cittadina francese in procinto di ricandidarsi. Una verità che, dopo un quarantennio di vita coniugale, sconvolge certezze e pregiudizi del politico. Non a caso, anticipa il regista Tristan Séguéla, «al di là delle apparenze, è Jean che dovrà mettersi in discussione, non Edith. Ed è ovviamente sempre di lui che ridiamo, mai con lui». Con Un uomo felice (Un homme hereaux), dal 9 marzo in sala per Teodora Film, il cineasta continua perciò, dopo 16 ans e Chiamate un dottore! (successo che ha ispirato il remake italiano Una notte da dottore con Diego Abatantuono e Frank Matano), a raccontare le sfaccettature della società odierna con le lenti della commedia. Che, sottolinea, «resta uno strumento meraviglioso per affrontare temi caldi come questo, nella speranza di dimostrare che in realtà non dovrebbero esserlo». Alla base, spiega, c’è la sceneggiatura di Guy Laurent e Isabelle Lazard, i quali «si sono ispirati alla storia di un loro amico, che ha iniziato la transizione di genere all’età di cinquant’anni e ha fatto di tutto per preservare il suo matrimonio».

Naturalmente, per la riuscita del film, è stato essenziale il talento di due fuoriclasse come Frot e Luchini. La prima, vista di recente in Sotto le stelle di Parigi e La signora delle rose e già Premio César per Escalier C e Marguerite, gode da sempre dell’ammirazione di Séguéla: «La sua sensibilità, la sua profondità, il suo modo di rendere unico ogni ruolo che interpreta la rendono una grandissima artista. Sapevo anche che avrebbe conferito al suo personaggio una forma di delicatezza e di femminilità che non erano scontati».

Catherine Frot

Luchini, anch’egli vincitore del César con L’amante del tuo amante è la mia amante, nonché della Coppa Volpi per La corte, è invece descritto dal filmmaker come «un monumento di finezza, intelligenza, dolce follia e umorismo», un umorismo «che non conosce volgarità. Chi meglio di lui poteva rendere irresistibile un personaggio a tal punto intrappolato in vecchi pregiudizi?». Non meno rilevanti, d’altronde, sono state le scelte per il cast di contorno, in particolare nelle scene dove Edith (il cui nuovo nome è Eddy) si trova a frequentare un gruppo di sostegno, con personaggi tutti interpretati da attrici ed attori transgender o non binari. «Era importante per me», sottolinea Séguéla, «Abbiamo fatto provini a oltre cento persone, è stato un processo lungo ma il risultato è speciale, è uno di quei momenti che amo molto in cui realtà e finzione si intrecciano». Il risultato finale è un film moderno nella sua critica ironica ai preconcetti incancreniti di una parte della società odierna, eppure basato su una delle più antiche dinamiche della commedia cinematografica: tutto ruota infatti attorno alla domanda se i due coniugi «finiranno comunque per invecchiare insieme o si separeranno, e in questo senso il film appartiene alla lunga tradizione delle commedie di “rimatrimonio”, come ne esistono tante nel cinema classico».