ANIME NERE

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Italia, Francia, 2014 Regia Francesco Munzi Interpreti Marco Leonardi, Peppino Mazzotta, Fabrizio Ferracane, Barbora Bobulova, Anna Ferruzzo, Giuseppe Fumo Sceneggiatura Francesco Munzi, Fabrizio Ruggirello, Maurizio Braucci Produzione Luigi e Olivia Musini Durata 1h e 43′ www.goodfilms.it 

In sala dal 

18 settembre

 

In un Aspromonte arido e oscuro, la vita di tre fratelli è indissolubilmente legata alla ‘ndrangheta: Rocco e Luigi vivono fra Milano e l’Olanda, commerciando droga, mentre Luciano ha deciso di restare in Calabria a fare il pastore. Ma il suo irrequieto figlio Leo decide d’intraprendere la strada degli zii: e la storia prenderà una svolta drammatica. A Munzi piace il thriller, e tra i suoi (parecchi) pregi va sicuramente annoverato uno stile che riesce a unire profondamente i luoghi e il racconto, impregnando le sue storie di un’atmosfera densa e di una tensione palpabile: la sua Calabria è un posto brullo e oscuro, dove persino il tempo segue l’andamento traverso e ondivago dei personaggi. E man mano che il racconto prosegue, dritto e inevitabile, verso la sua conclusione, la pioggia si fa più fitta e la notte più buia. Anime Nere, allora, diventa una discesa agli inferi scritta benissimo e recitata ancora meglio, con un eccellente tris d’attori protagonisti servito da un cast di contorno non sempre professionista ma all’altezza. La struttura essenziale, non per niente, è quella della tragedia classica, e non a caso Munzi di suo del racconto originale di Criaco sostituisce il legame fra i protagonisti (lì amici, qui fratelli), riallacciandosi a opere più complesse come Fratelli di Abel Ferrara, ma creando un mondo misterioso e affascinante, che accarezza la bellezza del demonio per sprofondare poi negli abissi più oscuri del Male. Un groviglio di visioni e letture, una rete che pesca a piene mani dall’immaginario collettivo per raccontare “ancora” della Calabria e del malaffare, ma con occhi quasi nuovi e cercando nuove luci per illuminare anfratti dell’anima sempre più oscuri. L’affondo del regista è allora potente e diretto, in un flusso narrativo quasi ipnotico, in un incessante messa a fronte dei contrasti nel quale lo spettatore è spinto a immedesimarsi interrogandosi in primis sulla domanda che Anime Nere pone subito, ovvero se si è capaci di trovare un netto confine fra vittime e carnefici, fra storie e predestinazione ancestrale e culturale. Certo, Munzi non è Garrone e la stratificazione non sempre gli riesce: ma il film è un colpo dritto sul muso, che colpisce cuore e cervello. E se non si guarda ai contraddittori sottotesti culturali su una Calabria raffigurata a senso unico, il film è di quelli che ti restano dentro. Pronto a sedimentare e dare vita a nuove letture.

Gianlorenzo Franzì