Al cinema dal 14 febbraio dopo l’anteprima – in concorso – all’ultima Mostra del Cinema di Venezia, Finalmente l’alba di Saverio Costanzo ci accompagna in un intrigante, a tratti oscuro, atto d’amore verso l’ultima epoca d’oro del cinema nostrano.
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IL FATTO
Nel 1953, la ventenne Mimosa, timida e appassionata di film, si reca presso gli stabilimenti di Cinecittà con la sorella Iris per partecipare ai provini come comparse di un kolossal hollywoodiano ambientato nell’antico Egitto. Inizialmente scartata, per una coincidenza Mimosa è notata dalla diva Josephine Esperanto, che la vuole sul set: la ragazza seguirà poi l’attrice e il suo gruppo sino a una festa notturna a Capocotta, sulla cui spiaggia è stato da poco ritrovato il cadavere di Wilma Montesi.
L’OPINIONE
Tagliato di venti minuti rispetto alla versione presentata in concorso a Venezia 80, arriva nelle sale l’affresco di Saverio Costanzo (dedicato al padre Maurizio) sul cinema italiano che fu e gli studi romani che ne hanno fatto la storia. Come il Tarantino di C’era una volta a… Hollywood, il regista di Hungry Hearts e delle prime due stagioni de L’amica geniale mescola finzione e cronaca (l’ombra del caso Montesi incombe su tutta la vicenda), star esistite (la Alida Valli di Alba Rohrwacher) e inventate, film veri e possibili.
Ma il riferimento chiave è il Fellini di quegli stessi anni ’50 che lo videro emergere e affermarsi: la parabola di Mimosa (Rebecca Antonaci, la più bella sorpresa del film), tra Lo sceicco bianco e La dolce vita passando per Le notti di Cabiria, è intinta nell’immaginario del grande e frequentatissimo cineasta riminese, trasfigurando la realtà, con le sue meraviglie e brutture, in paesaggio onirico. E in fiaba: con un’Alice che forse ha sognato tutto (ma è un sogno o un incubo?), seducenti e invidiose streghe (la Josephine di Lily James), deludenti principi (l’irrisolta star Joe Keery), ambigui cocchieri (il gallerista Willem Dafoe) e orchi in agguato. Fra omaggio nostalgico e rievocazione critica (soprattutto verso le tante forme di violenza sulle donne), il mondo dietro e dentro la settima arte emerge, una volta di più, come impero degli sguardi, le cui dialettiche informano l’intero film, e delle bugie (Mimosa è presentata come la poetessa svedese Sandy), luminoso e oscuro, respingente e affascinante, allora e forse (da) sempre.
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I titoli felliniani citati e i precedenti lavori di Costanzo, che ne testimoniano la capacità di destreggiarsi fra produzioni e cast internazionali scoprendo spesso nuovi talenti. Ma il suo più bel lungometraggio resta per noi il primo, Private, Pardo d’oro 2004 col racconto, tremendamente attuale, di una famiglia palestinese oppressa dall’occupazione israeliana.