“Free Fire”, un piccolo gioiello pulp: la recensione

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Francia, Gran Bretagna, 2017 Regia Ben Wheatley Interpreti Enzo Cilenti, Sam Riley, Michael Smiley, Cillian Murphy, Brie Larson, Armie Hammer, Sharlto Copley, Babou Ceesay Distribuzione Movies Inspired Durata 1h e 30′ 

Al cinema dal 7 dicembre

IL FATTO – Boston, anni ’70. Alcuni membri dell’IRA stanno cercando di concludere un acquisto di armi. In un fabbricone dismesso e in rovina, venditori e acquirenti si incontrano. Atteggiamenti virili e battute sarcastiche si sprecano (“Frank, è vero che voi vivete sui pavimenti di fango?” “Cosa?” “I miei avi mangiavano cipolle crude e scopavano capre” “dubito che fossero così evoluti”), basta un niente perché la situazione degeneri, nonostante gli sforzi dell’irlandese Chris e del mediatore Ord di mantenersi su un piano di sobria professionalità. Ma il caso vuole che proprio la sera prima tra l’arrogante e tossico Stevo e l’americano Harry ci sia stata una violenta scazzottata e quindi, inevitabilmente…

L’OPINIONE – Praticamente una sparatoria lunga un intero film, incasinata, esplosiva, persino gravida di humour. Ben Wheatley è un autore di grande creatività e talento applicati al pulp, quasi una versione inglese di Nicolas Winding Refn. Certo i suoi precedenti Kill List, Killer in viaggio e l’assurdo, lisergico I disertori (ambientato nella guerra civile inglese del ‘600) erano di gran lunga più strutturati, eccentrici e, se vogliamo, geniali, ma anche qui nel suo formalismo volutamente bidimensionale (e alla lunga anche con quell’aura di arty un po’ stopposa), Free Fire brilla di gag e corposità. Dei dialoghi acidi e “maleducati” abbiamo già accennato (“Sembra che ti sia scopato un panda”; “Cos’hai per il mal di testa?” “Solamente eroina” “Sarebbe come rompere una noce col martello pneumatico!”), aggiungiamoci un uso consapevolmente beffardo della musica (chi mai potrebbe utilizzare un tenero John Denver come sottofondo a scontri di insulsamente spietata violenza?) e attori che bene stanno nei panni proletario-fighetti dei ’70, tra cui notiamo Cillian Murphy, la “pupa” Brie Larson – Oscar per Room – e in disparte pure Noah Taylor.

Ma ciò che più risalta è il puro gusto di enfatico virtuosismo narrativo (la camminata al ralenti su un funky boogie, i proiettili che rimbalzano ed entrano nei corpi senza -quasi- mai essere letali) nonché la sottolineatura della complessiva idiozia dei personaggi in scena, capaci di scambiarsi battutone epocali e pistolettate senza soluzione di continuità, e magari anche di fare il doppio gioco (sì perché non sono mica solo due i gruppi al centro dell’arena). Godibilmente insensato (c’è chi ha però commentato giustamente: “ma perché girare un film ambientato nei Settanta con lo stile di uno dei Novanta?”) che ha molto divertito il pubblico del Torino Film festival l’anno scorso, ma soprattutto quello del Festival di Toronto che gli ha assegnato il premio specifico per i film proiettati a mezzanotte.

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