Su Ultimo tango a Parigi si accanirono censori e tribunali, che ne decretarono la morte tra le fiamme. Oggi ci piacerebbe sapere dov’è e cosa fa nella vita chi ha acceso quel fuoco. Che voleva distruggere il film-manifesto degli Anni ’70.
VITTIMA DELLA CENSURA – Finì in falò, solo trent’anni fa o poco più. Era un film. E qualcuno lo bruciò. Qualcuno tolse a chi lo aveva realizzato i diritti di elettorato attivo e passivo. Ci furono grandi manifestazioni per salvare dal rogo alcuni metri di celluloide. Se ne chiedeva la libertà, come fosse un uomo dietro le sbarre. Era osceno, i tribunali sentenziarono che doveva morire. Qualcuno per fortuna trafugò qualche copia e la portò in salvo. Le altre finirono tra le fiamme e la cenere. Qualcuno ha appiccato quel fuoco. Dove è e cosa fa nella vita? A ripensarci oggi viene da sorridere o da piangere. Oggi che in televisione si vede ogni cosa, si sente ogni parola, si partecipa di tanti sensi liberi. Ora che per fortuna è saltata la censura che brucia ma, purtroppo, è saltata anche l’autocensura del buon gusto e della misura.
LA FINE DELL’ETÀ “SEMPLICE” – Ultimo tango a Parigi era un film bellissimo. Era una esperienza psicanalitica, una emozione forte. Era un apologo sulla solitudine dell’uomo moderno. E sulla esplosione del sesso come linguaggio e relazione. Ma Ultimo tango era molto di più. È stato il passaggio a un altro tempo della storia, il film che celebra la fine dell’età “semplice”, quella degli anni Sessanta con tutti i suoi soli e le sue lune. Con tutte le scoperte e tutte le insoddisfazioni. Credo mai, nell’Occidente del Novecento, si sia avuta con tanta forza la sensazione di vivere un tempo di incredibili scoperte, di incredibile libertà, di incredibili possibilità. Eppure si voleva uccidere quella società, perché generando libertà ne richiedeva altre.
UN FILM MANIFESTO – Il film di Bernardo Bertolucci è il manifesto di quel tempo inquieto. Il tempo della definitiva secolarizzazione, degli steccati che saltano come le case dei ricchi di Zabriskie Point. È un film triste sulla libertà. Quella delle idee e dei sentimenti, dei corpi e delle possibilità. Rivisto oggi il film sembra raccontare però il disfarsi di una società, il suo trasformarsi rapidamente da società di massa a luogo delle solitudini. Quei quadri di Bacon dei titoli di testa, il ricorrere inquietante degli animali morenti, la banale fisicità della morte, i luoghi che sono case abbandonate o alberghi senz’anima. E quei colori, quel rosso e giallo. E quel Marlon Brando, un uomo che sembra una società morente. E quella Maria Schneider, una donna che sembra una società affluente. Il sesso nel film è la metafora di tutto questo. Ma a chi ha messo il timbro e a chi ha acceso il fiammifero deve essere sfuggito. C’è solo un altro grande film che ha avuto la stessa potente forza nel raccontare lo sfarinamento di un tempo delle storie individuali e collettive. È Eyes Wide Shut di Stanley Kubrick. Un capolavoro, checché se ne sia detto. Un altro film in cui compare, come in quello di Bertolucci, il “doppio”. Che forse è la chiave vera di lettura di questi tempi confusi.
Walter Veltroni