Richard Jewell, l’ingiustizia subita da un uomo comune nel film capolavoro di Clint Eastwood

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Usa, 2019 Regia Clint Eastwood Interpreti Sam Rockwell, Olivia Wilde, Jon Hamm, Kathy Bates, Paul Walter Hauser, Nina Arianda, Ian Gomez, Deja Dee, Wayne Duvall, Mike Pniewski, Mitchell Hoog, Niko Nicotera, Billy Slaughter, Dylan Kussman Distribuzione Warner Bros. Italia Durata 2h e 9′

Al cinema dal 16 gennaio 2020

LA STORIA – Sovrappeso e zelante, Richard Jewell aspira a diventare agente di polizia (“Io credo nella legge e nell’ordine”), intanto dopo qualche lavoro finito male, si ritrova guardia giurata in servizio ai concerti live. Siamo nell’estate del 1996, Atlanta (Georgia), le Olimpiadi sono appena iniziate. Come dire? Una manna per i terroristi e gli psicopatici dinamitardi e proprio a Jewell capita di trovare uno zaino contenente tubi di esplosivo. Il suo intervento se non sventa l’esplosione (che provoca due morti e 100 feriti), almeno ne attenua e di tanto l’impatto. Jewell è l’eroe del momento, intervistato e finalmente considerato. Ma l’FBI ha una sua ipotesi: magari in cerca di notorietà, che sia proprio Jewell l’autore dell’attentato? Così, complice un’incauta soffiata alla stampa, il pacioccone (ma tutt’altro che fesso) e improbabile eroe si trasforma in breve nel “mostro”, unico indiziato dell’indagine, anche perché nel suo passato, a cercarlo, qualche cosa di poco chiaro e sospetto è effettivamente nascosto. Assediato da polizia e media, affaticato come la sua mamma prostrata ma tutt’altro che stranito, si affida allora all’unico avvocato che conosce, il poco formale Watson Bryant.

L’OPINIONE – Nel grande mare/marasma delle storie vere od esemplari che l’immensa cronaca americana, famelica e pasciuta, cattura pescando o altrimenti, quando serve, inventando, Clint la roccia (38 film da regista!) estrae sempre materiale per riflettere e ricamare su quello che è uno dei temi chiave del suo operare, il rapporto spesso aspro e ingiusto tra individuo e istituzioni, ovviamente schierato sempre dalla parte del singolo, magari sino all’oltranzismo. Uno schema polemico già evidente in Sully che ora nell’amaro caso di Richard Jewell diventa manifesto. Ma la sua grande bravura, di cineasta marpione e quasi neo-classico (per l’attenzione alla sintassi dei grandi maestri e artigiani di Hollywood) sta nel porre (qui) lo sguardo/macchina da presa quasi sempre all’altezza/ridosso delle persone-personaggi.

La preziosità e il valore artistico di questo film pregevole (tra i migliori dell’ Eastwood “vecchio” ma comunque poco senile) infatti non sta nel seguire i codici del thriller (si sta parlando di un’indagine su un crimine la cui soluzione viene citata nei titoli di coda) o nei rovelli del dramma giudiziario (più delle prove d’accusa confutate a colpire è la vibrante forza del patimento dell’innocente che reagisce), quanto proprio nella attenzione, persino sentimentale, quando rivela gaffes e limiti della personalità del protagonista.

E’ la storia della profonda “ingiustizia” che subisce un goffo uomo qualunque, un piccolo grande eroe obeso (il caratterista Paul Walter Hauser, sovrappeso e fragile, una vera rivelazione), improvvisamente defraudato del ruolo di difensore della giustizia cui ha sempre aspirato (“il mio sogno è proteggere la gente”) e additato come mostro. Con l’angoscia straziante di una madre normale (splendida Kathy Bates) e l’aiuto di un avvocato apparentemente un po’ superficiale (Sam Rockwell) ma in realtà efficiente e soprattutto amico.

Dalla parte dei “cattivi”, a rappresentare il modo sbagliato (come è esplicitamente sottolineato nel film) di agire dei poteri forti/istituzioni – governo e media – che si credono onnipotenti e insindacabili, un agente cinico da manuale (Jon Hamm) e una giornalista arrivista, altrettanto cinica da manuale (Olivia Wilde), anche se poi questa sembra pentirsi versando una lacrima autoassolutoria.

Un film impeccabile nel suo asciutto intimismo, adulto nella sua scorrevolezza, nella chiarezza delle sue intenzioni, nel rispetto del realismo e della psicologia dei personaggi. Curioso e un po’ amaro che solo la Bates abbia ottenuto la nomination agli Oscar, perché non capita spesso che il cinema americano proponga storie così ben strutturate (la sceneggiatura è di Billy Ray, un tutto fare che passa da Hunger Games e l’ultimo Terminator a Breach-l’infiltrato e State of Play).