“STRANGER THINGS”: GLI (INQUIETANTI) ANNI ’80 SONO TORNATI

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Un corridoio buio, di quelli con le luci al neon che ronzano e si accendono a intermittenza; quattro amici e le loro biciclette, una piccola cittadina dell’Indiana, Hawkins, e una pioggia torrenziale, incessante, pesante. In mezzo, una scomparsa misteriosa – ovvero quella di uno dei quattro bambini – e una ricomparsa altrettanto strana, nel bel mezzo della notte. 

Tutto, sotto la cornice degli anni ’80 reganiani, dove il cinema e la musica “erano meglio di ciò che vediamo o ascoltiamo oggi”. Parte così Stranger Things, la nuova serie targata Netflix, suddivisa in otto episodi (tutti disponibili dal 15 luglio) scritti, ideati, prodotti e diretti dai fratelli Matt e Ross Duffer. Lo show, fin dalla prima puntata, cattura per stile, messa in scena e soprattutto per la storia, che ha come partenza la sparizione di Will, a cui si legano inquietanti eventi. Sulle sue tracce – che sembrano non esserci – oltre alla mamma Joyce, ci sono anche il Capitano del Distretto di Polizia, Hopper, ma soprattutto i suoi tre amici: Mike, Dustin e Lucas che, in sella alle loro biciclette e con i tasca le mazzefionde, mentre setacciano il fitto bosco, incontrano la silenziosa quanto ambigua Eleven.

Sotto la sua spessissima coltre di fanta-thriller, Strange Things è una dedica riuscita, nostalgica (ma anche fresca) a tutti coloro che sono cresciuti a cavallo tra gli anni ’80 e gli anni ’90. Infatti, è impossibile non amare i continui e riusciti richiami a quella contro-cultura che aveva fatto del cinema, della musica e della moda qualcosa di estremamente pop, libero dai confini e aperto all’immaginazione e all’intrattenimento più puro. I fratelli Duffer – che già hanno avuto a che fare con il mistery, avendo scritto alcune puntate della serie Wayword Pines – si legano così a Spielberg – che belli i rimandi a E.T., ad Incontri Ravvicinati del Terzo Tipo o, appeso al muro della cameretta, a Lo Squalo –, a George Lucas e Star Wars, a Tolkien e a Il Signore degli Anelli – e un po’, quei quattro bambini, ricordano proprio gli Hobbit della Compagnia –, oppure a Richard Donner e I Goonies. C’è naturalmente una dose di horror, che va a citare Tobe Hopper e Poltergeist, tutta la poetica di Wes Craven e, in modo assai marcato, c’è pure Stephen King. Stranger Things, per l’appunto, con i suoi protagonisti così puri, la cornice (inizialmente compassata) che prende forma (in qualcosa di inaspettato) e, ovviamente, con l’inquietudine che diventa piano piano terrore, sembra uscita prepotentemente dalla penna dello scrittore del Maine.

Ma Stranger Things non è ”solo” camicie a quadri, icone anni ’80 e misteri che sfiorano le teorie del complotto (ecco che arriva anche X-Files): i Duffer Brothers hanno saputo scrivere qualcosa di nuovo e appassionante, in grado davvero di abbracciare tre generazioni. Una grande storia, unita alla meravigliosa fotografia, ai dettagli studiati e alla musica della nostra memoria (da Peter Gabriel ai The Clash). E al cast: Stranger Things segna il ritorno di Winona Ryder (sempre più a suo agio nella serialità, dopo l’ottima prova in Show Me a Hero), eccezionale nei panni della mamma di Will. Insieme a lei, Matthew Modine, nei panni di un controverso agente del governo, David Harbour in quelli del poliziotto, e per ultimi ma non ultimi, i giovanissimi attori protagonisti: Noah Schnapp, Finn Wolfhand, Gaten Matarazzo, Caleb McLaughlin e (in particolar modo) Millie Brown. Capaci di farci ricordare come eravamo noi trent’anni fa. Perché gli anni ’80 sono tornati, più magici, nostalgici e inquietanti che mai.