Steve Della Casa: «Il Tff è tornato a essere importante»

Al termine del 40esimo Torino Film Festival, il nuovo direttore artistico condivide un bilancio di questa importante edizione

Nel 1982 lo aveva aveva contribuito a farlo nascere con il nome di Festival internazionale Cinema Giovani, diventato poi il Torino Film Festival, dal 1999 al 2002 Steve Della Casa ne è stato direttore artistico. A distanza di vent’anni e dopo il duro colpo inferto a tutto il cinema dalla pandemia, il noto critico è tornato nuovamente a dirigere l’evento cinematografico internazionale più importante in Italia per il cinema indipendente ed emergente.

Per un po’ Della Casa ha messo in pausa la sua intensa attività di critico cinematografico per dedicarsi alla realizzazione di un Festival che aveva la grande responsabilità di riportare in auge la manifestazione in un periodo di non facile ripresa del cinema, soprattutto sul fondamentale versante delle produzioni indipendenti e delle opere prime.

Mi ero esposto. In tempi non sospetti avevo detto che, se non ci fosse stato il pubblico, il Festival sarebbe stato un fallimento, ma il pubblico c’è stato e la copertura mediatica mi sembra sia stata superiore a quella che ci aspettavamo. Il Torino Film Festival è tornato a esser importante anche sui media nazionali”.

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Al termine dell’edizione che ha celebrato i quarant’anni del Festival, Della Casa, intervistato da CIAK, ha condiviso un primo bilancio sui 10 giorni appena trascorsi tra incontri con grandi ospiti come Malcolm McDowel, a cui è stata dedicata un’intera retrospettiva, Mario Martone, Paola Cortellesi, Toni Servillo e Paolo Sorrentino, e soprattutto tanto cinema, da She Said di Maria Shrader a Orlando di Daniele Vicari ed Empire of Light di Sam Mendes, e serie Tv come Il nostro generale e The Bad Guy.

Era la prima edizione post-Covid e bisognava fare i conti con una situazione in cui il 70% del pubblico non va più nelle sale, ma mi sembra che le persone mediamente siano rimaste contente e io sono soddisfatto. Può essere migliorato, ma la base c’è. Anche il gruppo con cui ho lavorato è stato veramente notevole. Penso che tra loro possa esserci il futuro direttore artistico del Festival”.

Pensa di non rinnovare il suo mandato quindi?

Io sono disponibile, ma ancora non se ne è parlato. Un lavoro ce l’ho, quindi va bene così”.

Quali sono le cose che vorrebbe vedere migliorate?

Ogni cosa è perfettibile. Sarebbe stato utile avere una sala in più per fare più repliche. Anche sul programma bisognerebbe non solo mettere un riassunto dei film, ma anche i riepiloghi delle varie proiezioni. Ho segnato tutto, perché ciò che serve a migliorare le cose non è un dettaglio”.

E degli incontri con gli ospiti cosa ne pensa?

Ho usato molto le amicizie e i rapporti che ho creato negli anni, quasi tutti li ho portati io e ne sono contento. Gli incontri sono andati molto bene, le persone hanno capito che si trattava di qualcosa di unico. Credo che per un Festival sia fondamentale avere dei volti noti, che però vengano a dire qualcosa, non solo a fare selfie. Il pubblico apprezza questo genere di appuntamenti ed è uno dei motivi per cui penso che si debba fare in modo che queste presenze intervengano in maniera sana”.

Per quanto riguarda gli spettatori, conosce già i numeri di questa edizione?

I numeri sono stati alti, anche solo guardando alla affluenza nelle sale, ma un bilancio definitivo potremo farlo solo al termine del Festival”.

Dopo vent’anni, come ha ritrovato il Festival?

Rispetto a come era il Festival quando l’ho lasciato è tutto molto diverso. Tanto per cominciare vent’anni fa non c’era internet, ma soprattutto l’ultimo anno che ho diretto io c’era il problema del troppo pubblico. Quest’anno lo scopo, per ovvie ragioni legate anche alla pandemia, era far tornare le persone in sala; quindi, anche la mission era molto diversa. L’ho trovato comunque in buona salute. Con un grosso sforzo siamo riusciti anche a farlo condividere alla città e questa era la cosa più importante”.

Questa edizione del Torino Film Festival era particolarmente ricca di titoli e sezioni, cosa ne pensa dei film proposti?

Sono contento di alcune cose in particolare, come Crazies, la sezione horror a cui abbiamo molto lavorato, è una novità e volevo che fosse forte e competitiva. In generale abbiamo lavorato molto sull’identità dei vari concorsi in modo che avessero una loro personalità. Per il concorso delle opere prime e dei documentari abbiamo selezionato titoli che proponessero un cinema variegato e di ricerca. Rivendico con orgoglio questo lavoro, non abbiamo preso film per acchiappare il divo di turno e fare foto. A parte Michele Placido, Sergio Castellitto o Kasia Smutniak, i film non avevano grandi nomi. I grandi nomi sono intervenuti perché avevano qualcosa da dire e da regalarci e i film hanno presentato un cinema di sperimentazione, come è nello spirito del Festival”.

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