Cannes 2023, Marco Bellocchio presenta Rapito: «Ho scritto al Papa»

Il regista italiano di nuovo al Festival in concorso per la Palma d'Oro

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Marco Bellocchio

Al Festival di Cannes 2023 è il giorno di Rapito, il film che riporta Marco Bellocchio in concorso per la Palma d’Oro dopo Il traditore del 2019. Ma il grande regista italiano è sulla Croisette per la quarta volta consecutiva – con quattro film diversi – e la tredicesima in totale e, dopo il premio alla carriera dell’anno scorso la possibilità di una storica doppietta emoziona tutto il cinema italiano.

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Intanto, sono Paolo Del Brocco di Rai Cinema e Simone Gattoni – produttore del film insieme a Beppe Caschetto – a comunicare che la quota dell’incasso nazionale destinata alla produzione del film sarà devoluta alla regione Emilia Romagna, che ci ha ospitato per le riprese del film”. Una iniziativa nel segno della solidarietà, che punta anche a “cercare di sensibilizzare il mondo del cinema”.

Per quattro anni di seguito al Festival di Cannes, con quattro film consecutivi, è qualcosa di unico, lo sa?
Il fatto è che io non ho mai ricevuto nessun premio dal concorso di Cannes, a parte la Palma d’Oro onoraria. Ma non cambierebbe nulla, anche se non venissi premiato in questa edizione. Semmai spero che qualche spettatore vada al cinema, questo è l’importante.

A vedere la storia di un altro rapimento, quello di Edgardo Mortara dopo Aldo Moro in Esterno Notte
È una connessione, certo, ma non ci abbiamo certo fatto caso pensando al film. Ci si muove su piani diversi, anche se sono due rapimenti accomunati da una condizione di cecità ideologica, del brigatista, ciecamente convinto della trasformazione della società, e da parte del Papa legato all’idea che non sia possibile cedere il bambino. Non a caso il penultimo titolo del film (che avrebbe potuto intitolarsi La conversione, ndr) era proprio Non Possumus, che indicava proprio questo. Ma era inevitabile, non credo che anche Papa Francesco, per quanto aperto e misericordioso, metta mai in discussione i principi della fede.

Che reazioni ci sono state da parte della Chiesa, hanno visto il film?
Sì, non li nomino per discrezione, ma ci sono stati alcuni sacerdoti che l’hanno visto, uscendone emozionati e pensierosi, come anche alcuni membri della comunità ebraica, che si sono molto commossi. Mi ha fatto piacere. Ho anche scritto al Papa per farglielo vedere, ma non mi ha ancora risposto. Spero che lo veda, nonostante le mille cose che ha da fare e alle quali deve dedicarsi. Magari potrebbe approfittare per godersi una serata divertente, rilassante, tra amici. Attendo.

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Anche Steven Spielberg si era interessato alla storia, vi ha influenzato?
Quando ho letto il libro di Vittorio Messori, tutto in difesa del Papa, la storia mi aveva affascinato, ma ci siamo fermati. Non tanto per una questione coloniale nei confronti di Spielberg, ma con lui in Italia a cercare location e fare provini ho preferito così. Sarei sopravvissuto lo stesso. Poi, durante la promozione di Il traditore negli Stati Uniti ero venuto a sapere che si era fermato, pare perché non trovava il bambino. In realtà, penso che questo sarebbe stato un film difficile da girare in Italia in inglese, ma è una mia ipotesi.

Il vostro Edgardo Mortara bambino si chiama Enea Sala
Mi preoccupava, ovviamente. Per il ruolo, il casting si è concentrato in Emilia Romagna, dove abbiamo trovato Enea, del quale mi hanno colpito gli occhi, lo sguardo. In televisione vediamo tanti bambini penosi, che fanno pubblicità, ridono e scherzano, ma è una roba orrenda, una tragedia, per loro, s’intende. Noi volevamo un bambino ‘zero’, che non recitasse.

In una scena, del ‘nascondino, vediamo il Papa e i cardinali giocare proprio con i bambini, è il suggerimento di altre violazioni?
No, niente affatto, ma le vie dell’inconscio sono infinite. A me interessava rappresentare una violenza di altro tipo. In quella scena il bambino si nasconde sotto l’abito del Papa come ci si nasconde sotto gonna della mamma o le lenzuola. Un annullarsi e sparire che i pedagoghi interpretano in vario modo.

Prima si parlava di cecità, è un elemento di modernità del film?
Quando il Papa chiede cosa sia un dogma e il bambino ripete a memoria la risposta, mi viene in mente la mia educazione cattolica, nella quale nulla veniva messo in  dubbio, né i peccati, né la liturgia. Poi c’erano cose terribili, come il sacrilegio o la scomunica. Se ci pensiamo, nel 1948 i comunisti erano scomunicati e per noi bambini era una cosa spaventosa. Essendo stato educato dalla chiesa cattolica, conosco bene quella cecità, quella rigidità, quell’apparato che oggi Papa Francesco cerca in qualche modo di mettere in discussione – come sui temi dell’omosessualità o del divorzio – per favorire una apertura, per evitare di non avere futuro. Quanto alla modernità, è chiaro che non siamo fantasmi, siamo nel 2023, per cui sicuramente quel che abbiamo immaginato ricade anche nella storia di oggi. Non ho mai pensato però di fare un film che potesse andare contro la chiesa, il Papa o la cecità della religione, mi affascinava la storia, quel che verrà dopo è storia di oggi.

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Allora, invece, fu vera conversione?
Per gli ebrei assolutamente no, ma c’è un mistero, che io non accolgo. Sicuramente il giovane Mortara pagò la conversione con la vita, con la sofferenza e lunghe malattie. Per tutta la vita cercò di convertire gli altri, senza riuscire a convertire altri che se stesso. Ma per gli ebrei fu una estrema violenza, fatta a un bambino che decide di dover sopravvivere. Un altro mistero è piuttosto il fatto che una volta libero lui decida di restare fedele al Papa. Ma, come detto, io qui mi fermo. E’ così, perché devo giudicare?