Nel 1947 alla vigilia dell’indipendenza indiana, Lord Mountbatten, cugino del re d’Inghilterra Giorgio VI, si trasferisce con moglie e figlia nella casa dei Viceré a Delhi, per guidare la difficile transizione nei successivi sei mesi. Ma l’insorgere di violenze tra hindu, sikh e musulmani si ripercuote anche sullo staff dell’ultimo governatore (interpretato da Hugh Bonneville, Downtown Abbey) che si trova costretto ad accelerare i tempi per evitare la guerra civile. Cedendo alle pressioni di Churchill e del leader dei musulmani Jinnah, siglerà la separazione tra India e Pakistan, contro il parere di Gandhi, ma scoprirà di essere stato un burattino nelle mani del suo stesso governo che dal Pakistan, considerato più manipolabile, aveva ottenuto la promessa di accesso ai pozzi di petrolio. Nel frattempo, mentre il paese esplode in conflitti che seminano morte e distruzione, due impiegati del palazzo, un hindu e una musulmana, affrontano come Giulietta e Romeo i tumultuosi eventi e l’imminente separazione.
A 70 anni da quei drammatici avvenimenti che diedero origine alla più grande migrazione della storia (14 milioni di persone attraversarono i confini tra India e Pakistan e circa 1 milione perse la vita), la regista Gurinder Chadha, la cui famiglia fu travolta da quella tragedia dopo la fine dell’Impero Britannico, analizza in Viceroy’s House, fuori concorso alla Berlinale (in Italia sarà distribuito da Cinema) il background politico, le ragioni più profonde dietro la scelta della ripartizione, il ruolo dei “grandi manipolatori” e di coloro che divennero inconsapevolmente strumento strategico di grandi giochi di guerra e potere. Che posto occuparono in questa vicenda Lord Mountbatten e sua moglie, Nehru, Jinnah, Gandhi e Churchill? E quali furono le responsabilità dell’Impero Britannico nella frammentazione dell’India?
La storia è scritta dai vincitori, ci ricorda la regista all’inizio del film, ma questa volta, a partire dai libri Freedom at Midnight di Larry Collins e Dominique Lapierre e da The Shadow of the Great Game di Narendra Singh (suggerito alla regista dallo stesso Principe Carlo), l’intenzione è quella di ristabilire la verità, sull’onda del cinema epico di David Lean. Il risultato è un filmone classico, interessante per contenuti, molto, troppo convenzionale nella fattura, capace non tanto di emozionare quanto di suscitare la voglia di saperne di più sulla storia di chi ha perso e non ha mai trovato voce.
Alessandra De Luca
(foto di Pietro Coccia)