Out of the Blue apre il Noir in Festival, con la femme fatale Diane Kruger

Omaggia i classici del genere il film diretto da Neil LaBute, che abbiamo intervistato.

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Dark lady, attrazioni fatali, delitti: Il 33° Noir in Festival (dall’1 al 7 dicembre 2023 a Milano per la direzione di Giorgio Gosetti, Marina Fabbri e Gianni Canova) è iniziato con temi e atmosfere che rimandano ai capisaldi del genere, come La fiamma del peccato e Il grande sonno, cui il film d’apertura Out of the Blue di Neil LaBute rende dichiaratamente omaggio.

Poggiandosi anzitutto sul fascino ambiguo della femme fatale Marilyn impersonata da Diane Kruger (Prix d’interprétation féminine a Cannes per Oltre la notte), che intreccia una relazione col più giovane Connor, in libertà vigilata dopo un periodo in carcere per un’accusa di aggressione. Un ménage che potrebbe sfociare nell’omicidio del ricco marito della donna.

A proposito della Marilyn di Kruger, e col pensiero rivolto ai maestri letterari e cinematografici come Dashiell Hammett e Howard Hawks, LaBute afferma: «Spero che la apprezzerebbero, e credo che lei derivi dalla stessa materia dei personaggi interpretati da Barbara Stanwyck e Jane Greer: non è un’imitazione o una satira, la mia, ma il tentativo di seguire il solco dei film con cui sono cresciuto».

Sulla caratterizzazione della figura femminile il cineasta aggiunge: «Mi piaceva fosse più grande di età rispetto al protagonista, che è immediatamente preso da lei, modificando drammaticamente il corso della sua vita, e il pubblico dal suo punto di vista avrebbe potuto trovarlo credibile. Penso che Diane sia stata perfetta per incarnare la mia idea: è interessante quando parla e anche quando non parla».

Dall’altra parte c’è Connor, cui presta il volto Ray Nicholson, figlio dell’acclamato Jack (che, guarda caso, interpretò con Jessica Lange l’adattamento del 1981 di Il postino suona sempre due volte, altro imprescindibile riferimento di Out of the Blue). «Credo che parte della tragedia si fondi sul fatto il fatto che è un bravo ragazzo», riflette LaBute a proposito di Connor, «ha solo commesso degli errori. E questo è un classico del noir: una cosa sbagliata, detta o fatta, può portarti alla tomba».

A proposito di parole, il lungometraggio conferma la predilezione del regista (anche drammaturgo) per i dialoghi e le sequenze lunghe che abbracciano, con gusto teatrale, l’intero setting: «Mi piacciono molto i dialoghi, penso che attraverso essi possano passare divertimento, suspense, violenza e amore, e adoro quando gli attori possono giocare tra loro».

Non meno importanti nel film sono le location, che contribuiscono a creare l’impressione di una vicenda sospesa tra passato e presente: «Cercavo luoghi che risultassero molto ”classici”, senza tempo. Sarebbe bello se, guardando il film tra dieci anni, uno non potesse stabilire esattamente quando è stato fatto: non diresti che sono gli anni ’40, ma neanche esattamente l’anno scorso. Un esempio è la biblioteca dove lavora Connor, quando l’ho vista mi sono detto che dovevo utilizzarla».

Nel cast del film troviamo anche Jia Crovatin, Chase Sui Wonders e Hank Azaria, quest’ultimo nel ruolo di un altro tutore della legge non molto rassicurante, come il Samuel L. Jackson del suo precedente La terrazza sul lago: «Mi interessa quando una persona non è chi dovrebbe essere. Non è bello che accada, ma ovviamente nel mondo ci sono sempre abusi di potere, grandi e piccoli. Questo è anche ciò che mi interessava ne La terrazza sul lago, che si basa sulla storia vera, accaduta a Los Angeles, di una coppia che veniva terrorizzata da un poliziotto che era loro vicino di casa».