Sanctuary, la sfida di Zachary Wigon tra dominatrici e slave

Margaret Qualley di Maid è la protagonista di un dramma in continuo cambiamento

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Zachary Wigon sanctuary

Grande importanza al testo, alla messa in scena e alla rappresentazione visiva sono state le tre preoccupazioni principali del regista di Sanctuary, Zachary Wigon, che alla Festa del Cinema di Roma ci racconta l’origine del suo lungo gioco di ruolo tra un ricco ereditiero, Schiavo per scelta, e la sua Dominatrice, nel momento in cui questa sente mancarsi la terra sotto i piedi. Tra dramma e thriller psycho-sexual, un film (in sala prossimamente con I Wonder Pictures) che nasconde qualche altro genere e molti livelli e sorprese, selezionato – dopo il Festival di Toronto – nel concorso della sezione Progressive Cinema – Visioni per il mondo di Domani di questa edizione della kermesse capitolina.

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Solo 18 giorni di riprese, una sfida anche dietro la macchina da presa?
Sono state più sfide, ma per me la principale era quella di riuscire a effettuare le riprese nei tempi previsti. Per farlo mi ha aiutato pre-visualizzare l’intero film con il programma di simulazione Cine Tracer. A quel punto è stato più facile arrivare sul set pronto, mettere le luci, e fare tutto con l’aiuto di qualche amico e volontario.

Dobbiamo stare attenti a giudicare dall’esterno le relazioni apparentemente tossiche?
La storia è sempre stata incentrata sui due personaggi, ma non potrei dire se la loro relazione possa rifletterne altre, più in generale. Quel che mi affascinava qui era lo spettro dei diversi comportamenti di Hal e Rebecca, che rivelano chi siano davvero, la loro psicologia e che rapporto ci sia tra loro.

Vedendo il film ci si chiede quale sia la sua definizione di Potere…
Non saprei dare una definizione definitiva, ma pensando a come funziona il potere nella storia credo sia relativo a una questione di controllo. Nell’ambito del Gioco di Ruolo, è lei ad avere il potere su di lui, ma quando si torna alla realtà, lui ristabilisce il controllo su di lei con il denaro. C’è una connessione tra il modo in cui questi diverse forme di potere sono mostrate e la drammatizzazione di come ciascuno dei personaggi cerca di controllare l’altro.

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Il film, soprattutto nel finale, sembra giocare con i generi, un’idea che è nata da qualche riferimento specifico?
Amo i film basati su testi forti, storie originali, ma a volte capita che questi siano un po’ limitati dal punto di vista dello stile visivo, che io invece amo molto. E’ come se non sfruttassero a pieno il loro potenziale, e per me è stata una sfida interessante riuscire a dargli la completa forza espressiva che ha un certo modo di fare cinema, più aggressivo. Guardando indietro, alla storia del cinema, non posso non pensare a Chi ha paura di Virginia Woolf?, che ha tutto quel di cui sto parlando ed è girato in maniera magnifica, come anche Il servo di Joseph Losey. Detto questo, per il resto mi affascinava il fatto che nella Screwball Comedy spesso ci sono persone impensabili che fanno cose orribili, come anche nei thriller psicologici o sessuali sanno mostrare un certo umorismo, e la possibilità di esplorare certi punti di contatto tra loro.

Ha fatto ricerche di qualche tipo per esplorare il mondo di Rebecca?
Ho fatto ricerche, leggendo libri, articoli e interviste a Dominatrici per prepararmi, anche se non è il mio approccio tipico. Ma sono state ricerche ad ampio raggio, per cercare di comprendere meglio quel tipo di lavoro e le motivazioni di chi lo fa, in attesa della sceneggiatura, nella quale i personaggi erano tratteggiati molto precisamente.

C’è un solo momento in cui vediamo la situazione dal punto di vista di lui, è un suggerimento agli spettatori?
Ho passato un anno a pensare a quell’inquadratura. Al di là del significato più superficiale, anche se forse non è stato consapevole, c’è un senso di disorientamento dovuto alla ripresa, e questo rispecchia il disorientamento che lui prova in quel momento. Ma non penso in termini tanto psicologici quando giro, sono più intuitivo, come dimostra il fatto che tendo a non fare troppe prove con gli attori proprio per non perdere la sorpresa sul set.