BREXIT, I COMMENTI DEL MONDO DEL CINEMA

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Il canale della Manica oggi sembra ancora più vasto da attraversare. «Questa preziosa gemma posta nel mare d’argento, che funge da muraglia o da fossato che difenda una casa, contro l’invidia di terre meno felici», le parole di Shakespeare nel Riccardo II oggi risuonano allarmanti. La vittoria del Brexit è la conferma della secolare convinzione britannica di essere un’isola. Ma non si rallegrano i giovani, gli unici forse oggi a vivere l’Europa come una sola casa, né tantomeno le star del cinema che avevano firmato una lettera contro l’uscita della Gran Bretagna dall’Unione Europea. «Non credo di aver mai desiderato la magia come in questo momento», commenta J.K. Rowling che con una bacchetta vorrebbe cancellare referendum, euroscettici e quelle frontiere che tanto dividono.

Invece, i sostenitori dell’Ukip sono tutti lì a cantar vittoria e a festeggiare la Gran Bretagna padrona di se stessa. Tra i maggiori sostenitori di Brexit campeggia Michael Caine che nella sua campagna per il “Leave” ha sottolineato come il Paese possa solo «guadagnarci» senza le imposizioni di «migliaia di funzionari che ci dettano le regole». E a rincuorare tutti ci pensa il regista Michael Moore che ripensa ai suoi Stati Uniti: «Europa, sei meglio senza i britannici! Vogliamo ciò che ha l’Europa: sistema sanitario gratuito, sistema scolastico gratuito, vera birra!» 
Di fronte al terremoto che ha sconvolto l’Europa altri rimangono senza parole. «Scioccato. Rattristato. Confuso», commenta sempre con un tweet l’attore londinese Jamie Campbell Bower che poi aggiunge «mi dispiace per i giovani. Temo voi siate delusi oggi». 

«L’Europa in mano a miopi burocrati, ma non va distrutta», aveva detto già prima del referendum il regista Ken Loach, Palma d’oro a Cannes 2016 per I, Daniel Blake che ritrae i meandri dell’amministrazione britannica privatizzata. Il regista metteva in guardia dai rischi dell’uscita dall’Europa, il pericolo dell’estrema destra in ascesa e un disorientamento generale. Ma a quanto pare non è servita a niente la lettera dei 282 del cinema britannico che avvertiva delle conseguenze disastrose per l’industria creativa di un Regno Unito separato dall’Europa. Il documentario Brexit di Martin Durkin, invece, pare sia stato più convincente sulle ragioni del “leave”.