DI MARCELLO GAROFALO
Un autentico maestro del cinema âextra-bizarroâ, Peter Greenaway, torna a dirigere un film dalla struttura leggermente meno frammentata, sia pure ricco di tutti quegli eccessi formali (reiterati split-screens, inserts, citazioni letterarie e pittoriche, carrelli vertiginosi, musiche martellantiâ¦)  e di sostanza (l’ossessione per il sesso e la morte) a lui cari; stiamo parlando di Eisenstein in Mexico (Eisenstein in Guanajuato) presentato con un certo successo al Festival di Berlino e ora (da giovedì 4 giugno) in uscita anche nelle nostre sale.
Protagonista è appunto Sergej Eisenstein, il regista cantore della Rivoluzione d’ottobre, quando nel 1931, all’apice del suo successo artistico, fa un viaggio in Messico per girare un film e trascorre gli ultimi dieci giorni del suo soggiorno nella cittadina di Guanajuato, ove con la complicità della sua guida Palomino Cañedo, asseconda gli impulsi della sua sessualità e raccoglie suggestioni artistiche su questa terra che sacralizza la morte. La sequenza dello sverginamento del maestro del cinema sovietico con annessa apposizione di bandierina soviet in un punto particolare del corpo, è una scena entrata già nel âGolden Bookâ del Cinema Bizarro.
Irriguardoso, creativamente libero nel mescolare fatti storici a personali rielaborazioni, mai banale, è un film che affascina o ammorba a seconda dei punti di vista, ma di certo non lascia indifferenti.
Chiudiamo con una fraseadeguatamente simbolica ed eccentrica pronunciata da Sergej Eisenstein (Elmer Bäck): âQualcuno ha aperto la porta a un uragano bagnato, lacrimevole e sporco!â