GIAN LUIGI RONDI, UNA VITA PER IL CINEMA: IL RICORDO DI PIERA DETASSIS

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Mi chiamava all’alba, quando io ero direttore della Festa del Cinema, che con la sua Presidenza diventò Festival con tanto di giuria e premi. Già sveglissimo e al solito arguto e sorridente anche se furioso, mi dava indicazioni da far tremare vene e polsi. La più spaventevole ancora la ricordo: «E quest’anno tutta la giuria deve essere composta da premi Nobel». Non si può dire che mirasse basso. Del resto Gian Luigi Rondi, scomparso il 22 settembre a 94 anni, nella sua carriera durata settant’anni aveva visto tutto e s’era aggiudicato critiche e omaggi,  onorificenze (le amava sopra ogni cosa) e guerre. È stato il critico del Tempo e negli ultimi tempi aveva raccolto le lettere adoranti o furiose ricevute da registi e autori, tutto il grande cinema italiano e internazionale, e aveva perfino editato le memorie di una vita, ricordando con una certa  autoironia gli errori commessi  quando il suo editore, in pieno neorealismo, gli impediva di scrivere le lodi di De Sica, e più tardi Rosi, troppo comunisti. Ma ci teneva a far sapere che aveva resistito e che il suo cuore democristiano era stato partigiano e di sinistra.

Era un fine scrittore, le sue pagine e recensioni sono da leggere come un romanzo secco e puntuto, ritratti fatti di tre parole, un rapido giudizio, una spigolosa battuta da cui tutto si intuiva. Non dimenticava nulla, raccomandava: «Ai nemici porte aperte» e il suo sorriso perenne andava interpretato: dietro il «carissimo» e «carissima» con cui ti salutava a mani tese poteva nascondersi l’affetto vero o la previsione di una temibile tempesta. Ha tenuto in piedi le edizioni più ballerine e surriscaldate della Mostra del Cinema di Venezia, da direttore e da Presidente, con l’astuzia e l’intelligenza di un politico che sa navigare tra le avversità volgendole a proprio vantaggio. Nei marosi accidentati che abbiamo attraversato insieme ha tenuto il punto dell’autonomia e perso con onore di fronte alla politica invadente dell’epoca Alemanno-Polverini e so che non ha mai dimenticato né perdonato. So anche che avrebbe voluto che lo scrivessi, per questo lo faccio. Per Ciak è stato un amico vero, teneva alla sua copia del giornale e quasi ogni mese mi mandava un appunto scritto con la Lettera 32 e spedito per posta in cui diceva la sua sulla copertina, che raramente lo soddisfava e in un paio di casi definì addirittura “orripilante”.

Le stellette che vedrete nel prossimo numero di Ciak sono le sue ultime, rare perché la salute non gli consentiva più di vedere tanti film. Tanti ne hanno delineato la statura  e il mio, alla distanza, vuol essere solo un ricordo personale per testimoniare la fortuna di aver condiviso una parte della vita e del mio lavoro con lui. Mi piace solo dire come è cominciata questa avventura e l’ amicizia (senza baci e smancerie, li detestava). Era forse il 2005 e Ciak curava il Daily della Mostra del cinema. Un mattino nella casella del mio hotel trovai un’elegante busta e dentro poche righe stringenti di Gian Luigi che criticava qualcosa che avevamo pubblicato. Ne fui entusiasta e gli chiesi di intervenire quotidianamente con quegli aforismi critici: ogni mezzodì ritiravo la sua busta che diventò per qualche anno, ad ogni appuntamento veneziano, un tormentone in prima pagina titolato “Il dispaccio di Rondi”. Il destino poi ci ha riunito nell’avventura romana, lui presidente, io direttore,  e quella busta quotidiana si è trasformata nella famosa telefonata all’alba, mai sostituita da sms o mail perchè lui quelli non li leggeva. A tutti Rondi ha insegnato che fare il critico non è solo vergare la bella recensione, ma impegnarsi nei festival, nelle rassegne, nella ricerca dei film, nel rapporto con l’industria, nei David di Donatello, nella politica culturale. Ha aperto una strada che oggi pare ovvia, e invece è stata una vera rivoluzione. Anche per questo lo ringraziamo.