MOMMY

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id. Canada, 2014 Regia Xavier Dolan Interpreti Anne Dorval, Antoine-Olivier Pilon, Suzanne Clement Sceneggiatura Xavier Dolan Produzione Xavier Dolan, Nancy Grant Distribuzione Good Films Durata 2h e 14′ Vai al sito ufficiale

In sala dal

4 dicembre

Premessa “fantascientifica” (o no?): nel 2015 il Québec promulgherà una legge che consente ai genitori di ricoverare (leggi rinchiudere) per sempre in manicomio i figli con forti tare mentali. Diane è una attiva e pungente quarantenne madre di un ragazzo affetto da fortissime crisi che lo portano ad esplosioni di incontrollabile violenza. Dopo la sua ultima catastrofica impresa, l’adolescente Steve torna a casa, costando alla donna impiego e serenità. Eppure il loro è un rapporto intenso che alterna risse ad atti di grande affetto. Ma come stoppare e regolamentare questo nerboruto e pericoloso irresponsabile? In aiuto arriverà la vicina di casa, l’insegnante in congedo Kyle, a sua volta balbuziente in conseguenza di un forte trauma emotivo. Basterà?

Xavier Dolan ha 25 anni ed è uno dei più importanti autori emergenti. Con 5 lungometraggi in altrettanti anni di carriera (a Venezia nel 2013 è stato proiettato il fiammeggiante mélo gay Tom à la ferme, per qualcuno persino superiore a Mommy), dopo un bell’inizio come attore, ha già trovato una sua precisa identità di cineasta. Ci sono registi che dirigono per mestiere, per divertimento o per ideali da realizzare, Dolan filma come posseduto da una irresistibile e altrimenti dolorosa necessità («se non lo faccio muoio », ama dichiarare), peraltro sostenuta da una impeccabile lucidità formale. Mommy, premio della Giuria a Cannes 2014, è non solo un bruciante psicodramma familiare («un film sull’impossibilità di realizzare il sogno americano della ricerca della felicità »), ma anche un’avventura stilistica in cui la forma ravviva i contenuti e l’eventuale gag visiva emoziona come un atto (ci riferiamo ad esempio a quando il formato dello schermo, sempre chiuso in un quasi quadrato, si allarga a tutto rettangolo accompagnando il distendersi delle braccia di Steve, perdutamente ebbro di felicità in giro per la città). Con Denis Villeneuve e Jean-Marc Vallée, Dolan forma così un formidabile trio di registi canadièn, del Québec francofono (una delle zone evidentemente cinematograficamente più fertili), tutti egualmente capaci (nelle loro diverse sensibilità) a coniugare la spettacolarità e la leggibilità americana (quella formalizzata da Hollywood) con le poetiche e il rigore delle avanguardie europee. Ma forse Dolan dei tre è il più pericolosamente romantico, quello per cui ogni opera è quasi un rischio personale. Dunque appassionante e imperdibile.

Massimo Lastrucci