ROMAFF10: ”LO CHIAMAVANO JEEG ROBOT” È (GIÀ) UN CULT

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L‘Universo Marvel e quello DC insieme, legato dal mondo manga citato nel titolo, nei personaggi e nelle intenzioni (riuscite): è Lo chiamavano Jeeg Robot, film dalla straordinaria potenza narrativa e creativa presentato alla Festa del Cinema di Roma. L’uscita? Marzo 2016.

Guardando un film del genere, è impossibile mantenere la stessa posizione per tutti i 112 minuti di durata. Ci si muove, ci si contorce sulla sedia, si fa il tifo, si resta, possiamo dirlo, quasi senza fiato. Ma se i nostri amati supereroi, che siamo abituati a vedere con uno scudo oppure con un martello in mano, provengono da Tor Bella Monaca, vivendo di disgrazia e miseri espedienti, allora l’enfasi e le emozioni trasmesse sono più che giustificate e persino chiamarlo (già) cult non è eccessivo. Parliamo dell’opera prima di Gabriele Mainetti, intitolata emblematicamente Lo chiamavano Jeeg Robot, e inserita nella Selezione Ufficiale della Festa del Cinema di Roma.
La storia, di per sé, è semplice: Enzo (Claudio Santamaria), scappando dal furto di un orologio, incappa in una strana sostanza radioattiva. Inizialmente gli effetti sono alquanto collaterali: vomito, nausea, vertigini. Svegliatosi la mattina seguente e ingaggiato da Sergio (Stefano Ambrogi), un suo ”amico” criminale, scopre quegli ”altri” effetti collaterali, ovvero una forza sovrumana, che gli permette di attutire colpi e cadute, nonché di alzare e spostare indicibile peso. Se, come si diceva in un cinecomics di qualche anno fa, ”da grandi poteri derivano grandi responsabilità”, allora Enzo, braccato dallo Zingaro (Luca Marinelli), un pazzoide criminale di borgata, mette a disposizione il suo ”dono” per difendere l’unica cosa a cui tiene: Alessia (Ilenia Pastorelli), l’ingenua e problematica figlia di Sergio.

Lo chiamavano Jeeg RobotLo chiamavano Jeeg Robot, non solo è un film ”diverso” per tipologia e trama (ci si avvicina Il Ragazzo Invisibile di Salvatores, pur con altri intenti), ma è una pellicola completamente nuova nel panorama cinematografico nostrano, che implorava da tempo novità del genere. Tutto il necessario è al posto giusto: un grande cast, Claudio Santamaria (super)eroe taciturno e crudo come un film porno ma al contempo dolciastro come uno yogurt (e riferimenti non sono casuali); Luca Marinelli che, oltre essere tra i migliori interpreti della sua generazione, regala una performance all’altezza dei grandi, sfaccettati villain dei fumetti, con la passione per la musica italiana e con tanta voglia di notorietà; infine c’è l’intensa Ilenia Pastorelli, principessa da difendere, innocente e delicata quanto un palloncino rosa. Poi la regia di Mainetti (prima del film due cortometraggi: Basette e Tiger Boy, che ha vinto nel 2013 il Nastro d’Argento), costipata di richiami all’universo Marvel, al mondo DC Comics e, naturalmente, al manga nipponico creato da Go Nagari e Tatsuya Yasuda, mantenendo comunque una straordinaria (in)coscienza creativa e stilistica che ha una sua precisa identità. Una macchina da presa, dunque, fitta, intensa, studiata, dettagliata, costruita con meticolosità sopra la sceneggiatura firmata da Nicola Guaglione e Menotti. Una sceneggiatura che entra dentro le teste dei protagonisti per sviscerarle del tutto, mantenendo due strade che sfregano tra loro, creando scintille, fuoco, follia. Ma anche tanta vita, perché se una linea narrativa costruisce una certa violenza linguistica e visiva, quell’altra delinea il messaggio cristallino del lungometraggio: non c’è potere più grande se non quello di essere empatici verso il più debole, sacrificandosi, anche senza nessun dono speciale, anche se si è un ”semplice” essere umano. Lo chiamavano Jeeg Robot, dunque, è riuscito a restituire vigore sia alla speranza di un’innovazione nel cinema di casa nostra, sia a quella alta ed elevata che cerca costantemente un’appiglio o un arcobaleno che, prima o poi, squarci l’oscurità, intima e privata o grande e collettiva.

Damiano Panattoni