THE WALK – LA RECENSIONE

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The Walk, USA, 2015 Regia Robert Zemeckis Interpreti Joseph Gordon-Levitt, Ben Kingsley, Charlotte Le Bon, James Badge Dale, Ben Schwartz, Clément Sibony, Sergio Di Zio, Mark Camacho, Kwasi Songui Distribuzione Warner Bros. Italia Durata 1h e 23’ 

In sala dal

22 ottobre

L’impresa folle di Philippe Petit. Il 7 agosto 1974 attraversò su un cavo e senza alcuna protezione lo spazio tra le due Torri Gemelle del World Trade Center di New York, diventando ora un film di fiction. La storia di un equilibrista francese autodidatta, che dopo aver passeggiato tra le torri di Notre-Dame si fa travolgere da un’ossessione: ripetersi là dove nessuno potrebbe neppure concepirlo. Con l’aiuto di un ristretto gruppo formatosi anche per caso in corso d’opera, i preparativi, le difficoltà e i sentimenti che animarono quell’incredibile performance.

Robert Zemeckis ha una dote che pochi altri registi possiedono, riesce a ottenere sempre comunque il meglio dal materiale con cui decide di confrontarsi, qualunque sia il genere dello spettacolo, dal fantastico al dramma psicologico, dalla trasposizione letteraria al puro intrattenimento, senza mai perdere di vista il lato umano. Il protagonista Petit/Joseph Gordon-Levitt, oltre ad agire, commenta e spiega qualche cosa che ha dell’incredibile (e magari dell’insensato) per molti. Soprattutto ne sottolinea il carattere poetico, di sfida personale, di affermazione soprattutto vitale (Petit per tutto il film rifiuta di pronunciare o sentir pronunciare la parola morte). Zemeckis sviluppa la trama quasi raccontasse una “rapina”, con i sotterfugi, i piani, gli inconvenienti o i giochi del caso, persino gli scontri (il funambolo non ha un carattere facile, egocentrico con punte di arroganza, come sanno bene la sua compagna Annie, interpretata da Charlotte le Bon, e il suo primo “preparatore”, il circense Papà Rudy/Ben Kingsley), per esplodere adrenalinicamente con gli eccitanti minuti della passeggiata nel cielo, tra la nebbiolina dell’alba, il vuoto, la concentrazione, i colpi di testa e persino un colombo curioso. Grande esercizio di suspence e di ricostruzione di psicologie e ambienti (siamo nei ’70 e le Torri Gemelle che verranno distrutte dai terroristi l’11 settembre 2001 sono appena state edificate) ma con persino un certo pudore nell’arrestarsi là dove la cinepresa non può proprio andare, ovvero nel profondo dell’animo. Consiglio: dopo essersi fatti coinvolgere dalla fiction, recuperate il documentario sull’argomento di James Marsh, Man on Wire – Un uomo tra le Torri, meritato Oscar (per la categoria) nel 2009.

Massimo Lastrucci