UN ALTRO PUNTO DI VISTA

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«Sul Monte Gurugu abbiamo sempre paura, abbiamo paura che la polizia arrivi nel parco e bruci tutto. Abbiamo paura dei colpi della polizia quando attraversiamo la barriera, di arrivare in Europa e che tutto sia inutile». I migranti si raccontano. Da oggetto di osservazione dei media a voci narranti di una storia che conoscono meglio di chiunque altro. Così il regista tedesco Moritz Siebert e il danese Estephan Wagner hanno affidato una telecamera al giovane del Mali, Abou Bakar Sidibé, affinché documentasse per alcuni mesi l’attesa e la paura dei migranti che si affollano a Melilla. Enclave spagnola del Marocco protetta da un sistema complesso di barriere, Melilla rappresenta una possibile porta per l’Occidente in terra africana che esploriamo attraverso lo sguardo di Abou. «Quando guardi il mondo attraverso una telecamera cominci a percepire ciò che ti circonda in modo diverso. Ho cominciato a trovare piacere nel creare le immagini, lentamente ho trovato la bellezza. Le immagini hanno un senso per me, così tramite le immagini cominciavo a esprimermi. Ho scoperto di esistere quando filmo», spiega la voce fuori campo di Abou che si alterna a immagini di violenza e suoni di musica africana. Così, è nato Les Sauteurs, in inglese Those Who Jump, presentato alla 66a Berlinale nella sezione parallela Forum. 

C’è vita al di là del muro. Ma ce n’è parecchia anche al di qua: una vita ammassata e precaria, ma a suo modo piena di progetti. Quelli dei migranti che si affollano a Melilla in varie centinaia, raggruppati per nazionalità, che autogestiscono in un bosco marocchino un campo di fortuna in attesa di poter passare in Spagna. Melilla dunque sembra così vicina, ma invece è inaccessibile. Bisogna scalare tre file di barriere senza farsi vedere o respingere dalla polizia spagnola. Nell’attesa Abou filma tutto, anche i momenti di distensione, distrazione, per non dire divertimento. «Abou ha trovato delle scene che non avremmo mai immaginato, come per esempio la partita di calcio. È una scena spettacolare quella della partita del Mali contro la Costa D’avorio in cui il regista interpreta il ruolo del giornalista sportivo», racconta Estephan Wagner. 

Se il recente Fuocoammare racconta l’arrivo dei migranti a Lampedusa attraverso lo sguardo di Gianfranco Rosi, Les Sauteurs è il racconto in prima persona di chi vive il dramma di essere costretto ad abbandonare il proprio Paese per cercare fortuna altrove. Nessun telegiornale e nessun reportage ci hanno mai fatto avvicinare tanto a quel mondo oltre le barriere e i fili spinati che l’Occidente innalza. Un mondo ricco e colorato, in cui le persone, le storie e il loro futuro si mescolano alle partite di calcio, alla paura della fame, al terrore della violenza e alla speranza nell’Europa. Una certa umanità, nonostante tutto. Les Sauteurs è infine un manifesto, una testimonianza unica e, chissà, l’opera prima di un futuro regista, Abou Bakar Sidibé.