La natura indomita, dentro e fuori. Michele Vannucci torna al cinema (dal 23 marzo) con Delta, “western fluviale” prodotto da Groenlandia, Kino Produzioni e Rai Cinema e presentato al Festival di Locarno. Un film in cui Alessandro Borghi e Luigi Lo Cascio si affrontano in uno scontro tra odio e vendetta, che non prevede eroi.
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“Un film – racconta Vannucci in un’intervista a Ciak – che si chiama Delta perché racconta un paesaggio dimenticato e delle persone che si ritrovano in una battaglia, loro malgrado, proprio perché abbandonate”. Lui ha scelto di ambientarlo fra le nebbie, le melme e i colori spenti del delta del Po (anche perché da lì è partito tutto), ma è un racconto che potrebbe riguardare “tanti luoghi d’Italia dimenticati, in provincia come in città”.
Come è nata questa storia?
Sono vissuto a Bologna per tanti anni e, mentre stavo montando il mio primo film (Il più grande sogno, ndr), mi sono imbattuto in questa storia. È la storia di uomini stranieri, chiamati Pirati del Po, che di notte rubavano motori e facevano pesca di frodo lungo il fiume. Poi ho letto il libro di Paolo Rumiz, Morimondo, e anche là c’era questa testimonianza. Allora con il direttore della fotografia (Matteo Vieille Rivara, ndr) abbiamo preso la macchina e siamo partiti per fare un reportage fotografico e interviste a chi quelle storie le viveva giorno per giorno.
Hai definito Delta una sorta di western fluviale
Sì, perché una volta arrivato lì ho scoperto questo immaginario incredibile che è il fiume, qualcosa di dimenticato, dopo essere stato al centro dell’attenzione nel Dopoguerra. Ho capito che c’era la possibilità di creare un immaginario nuovo, noir: un mondo in cui chi vive e chi viene da fuori si scontrano anche se poi, come in ogni western, l’osservazione sociale diventa la scusa per entrare nell’animo dei personaggi. Quello che è all’inizio è lo scontro di una comunità diventa poi un duello fra due parti.
Non era facile trovare due attori per interpretare quelle due parti
Con Alessandro (Borghi, ndr) condivido molte cose del vivere, quindi anche il cinema e i personaggi che man mano nascono. Fin dall’inizio, quando ho scelto di raccontare questo scontro fra pescatori e bracconieri, ho pensato alla storia di un uomo che tornava alle proprie terre. Per questo Alessandro mi sembrava la persona migliore: lui si lascia immergere nel racconto. Ha fatto un lungo lavoro di avvicinamento al personaggio, che nasce dallo stare nei paesaggi, nel fiume, con i pesci, al freddo. Io cerco sempre di mettere gli attori in contatto col racconto per poi potermi fidare di loro. E lasciarmi sorprendere sul set. È avvenuto così per Luigi (Lo Cascio, ndr). Volevo un uomo buono, che non aveva violenza nello sguardo, per poi capire il suo limite di sopportazione. Questo percorso di avvicinamento con Luigi è stato pazzesco. Per lui era una vera sfida stare sul set con me. E si è rivelato una persona assolutamente capace di coglierla.
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Delta è una storia che lascia l’amaro in bocca. Non c’è un vero confine fra bene e male. E non c’è un vero vincitore
Il film non ha l’obiettivo di capire cosa è bene e cosa è male, ma cerca di raccontare due persone che fanno di tutto per essere migliori, vivendo in una società in conflitto dove non c’è una risposta che tutela i loro interessi. Sono coinvolti in un duello che, in qualche modo, è anche una scoperta. Come dicevo prima, alla base del film c’è una domanda, anche personale: qual è il limite di sopportazione prima di sconfinare nella violenza? Cosa produce quest’ultima in chi la compie? Delta è un film in cui gli uomini entrano in contatto con la natura e lottano contro quella natura che è invernale, fredda, inospitale, ma anche con la natura che abbiamo dentro. E che cerchiamo in ogni modo di lasciare dentro perché poi, quando si aprono i confini degli istinti più neri, è sempre troppo tardi per porre rimedio. Delta è il tentativo, anche eroico, dei protagonisti di non cedere a quella natura. Purtroppo non ci riescono.