A PROPOSITO DI SCHMIDT

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A PROPOSITO DI SCHMIDTWarren Schmidt – Jack Nicholson – ha consumato la propria vita nell’assenza di passioni e curiosità. Ma non se n’è mai reso conto. Fa parte di quell’umanità che conduce «un’esistenza di tranquilla disperazione», citando le parole del poeta Henry David Thoreau, quarant’anni trascorsi dietro la scrivania di un’agenzia di assicurazioni, nell’illusione di svolgere un lavoro utile. Un lavoro che, nelle parole dei suoi colleghi durante la festicciola per il suo pensionamento, ha lasciato il segno. Ma in realtà nulla nella vita di Schmidt ha lasciato un segno. Ha una figlia che è andata a cercare lavoro in un’altra città e una moglie maniacalmente precisa che lui non sopporta più. E ogni notte, guardandola dormire, Warren si chiede chi sia quella vecchia che vive in casa sua. La fine della routine lavorativa è per lui un trauma molto difficile da affrontare.

A PROPOSITO DI SCHMIDTNon è culturalmente pronto a costruirsi una nuova vita e quando improvvisamente quella moglie fastidiosa muore, l’uomo scopre con sorpresa l’immenso vuoto che ha lasciato dietro di se. Decide così di partire da Omaha, Nebraska, alla guida del grande camper che i coniugi hanno acquistato per affrontare piccole e sicure avventure, una volta costretti all’ozio. È un viaggio alla ricerca di un passato insignificante, costellato d’incontri casuali, motivato dall’esigenza di presenziare al matrimonio della figlia con un uomo che – giustamente – Schmidt non approva. Con una piccola spesa mensile ha adottato a distanza Ndugo, un bambino di sei anni della Tanzania e, attraverso lunghe lettere che il piccolo non può capire, Warren gli racconta la propria vita, a tratti edulcorandola ma anche rivelando al suo unico amico la propria amarezza e solitudine.

A PROPOSITO DI SCHMIDTToccanti monologhi fuori campo che fanno avvertire il desiderio confuso di iniziare finalmente a vivere di un uomo che ha quasi esaurito il proprio tempo. La mia ammirazione per Jack Nicholson è smisurata. Che splendido attore! Capace di rinunciare al proprio istrionico fascino irresistibile per diventare un piccolo uomo grigio, pettinato con il riporto, che attraversa la vita con inconsapevole meschinità. La sua è un’interpretazione “a togliere”, in continua sottrazione. Con la sua sola continua presenza e un sottile gioco di sguardi è in grado di trattenere il film sul filo della più delicata ironia. Il regista Alexander Payne, dopo il successo del divertentissimo Election, dimostra qui la sua capacità di raccontare la terza età, come farà poi in Nebraska, con un elegante misto di distacco e tenerezza, costantemente in equilibrio fra dramma e comicità.

A PROPOSITO DI SCHMIDTTanto che nell’accettare il Golden Globe, vinto come miglior attore drammatico, Nicholson disse di aver creduto per tutta la lavorazione di interpretare una commedia. Poi nel ringraziare, tra gli altri, Kathy Bates, che è la madre dello sposo, aggressiva, generosa e sessualmente vorace, esatto contrario vitale di Schmidt, l’ha affettuosamente chiamata “Bates Motel”. Hope Davis è la figlia poco attraente e un irriconoscibile Dermot Mulroney, il promesso sposo. Tutto il cast è uniformemente ammirevole e la sceneggiatura di Payne e Jim Taylor offre ottimo materiale su cui lavorare. Un film imperdibile.