«Ridere della mafia si può»: Antonio Albanese racconta “I topi”, la nuova serie tv in onda su Rai Tre

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«I fatti, i nomi e i personaggi narrati e/o rappresentati in questa serie sono assolutamente immaginari e frutto della fantasia degli autori. Qualsiasi collegamento o similitudine, riferimento o identificazione con persone vissute o viventi, nomi o luoghi reali, è puramente casuale e non intenzionale». Con questo assurdo cartello-didascalia si chiude ogni episodio di I topi, la nuova serie, in 6 capitoli, di Antonio Albanese visibile dal 6 ottobre su Raitre (ma già presente integralmente su RaiPlay). «Quel cartello fa un po’ sorridere» racconta Albanese a Ciak «perché in realtà l’ispirazione parte dalla visione di alcuni video e foto di boss latitanti che escono davvero dall’armadio e da rifugi improbabili. La serie nasce chiaramente da un mio sguardo, ma anche da mille fotogrammi memorizzati negli anni. Questo progetto l’ho pensato circa tre anni fa, un anno dopo ho avuto la voglia e l’urgenza di buttare giù la prima puntata, dopo avere pensato e studiato a lungo: ogni immagine riferita a quel mondo l’avevo memorizzata, interiorizzata ed elaborata a mio modo.»

La serie mostra la vita “da topo” del boss latitante Salvatore (Albanese) che per non farsi trovare dalle forze dell’ordine vive in una cantina-rifugio insieme allo zio Vincenzo (Tony Sperandeo), a sua volta latitante. Attraversando cunicoli, sporcizie, ragnatele, polvere e passaggi segreti, Salvatore raggiunge la famiglia, che vive al piano di sopra in una linda villetta di un imprecisato Nord (la serie è stata girata a Torino). Il nucleo famigliare è composto dalla moglie Anna (Lorenza Indovina), due figli (Michela De Rossi e Andrea Colombo) e dalla zia (Clelia Piscitello). Ad aiutare il boss c’è il pellicciaio O Stuorto (l’ottimo Nicola Rignanese, abituale compare di scena di Albanese): «Minchia come stai bene con ‘sta pelliccia, sembri Pitìn… Petìn…», «…Putin!», «Eh!».

I topi è un vero gioiello di umorismo graffiante, grottesco, strepitosamente scorretto e surreale (“purtroppo” non troppo surreale, bensì ormai estremamente verosimile).

Fa venire in mente quello che Italo Calvino scrisse sulla maschera di Groucho Marx nel giorno della morte di Groucho (cfr. Corriere della sera 28 agosto 1977): «ridiamo una volta tanto non della sofferenza altrui, ma della sua arroganza…». Del boss Salvatore – creato e interpretato da Albanese – ridiamo proprio dell’arroganza, della sua avversione verso i congiuntivi, verso la vita, verso tutto. Empatizziamo solo un po’, perché di fatto, Salvatore è già in prigione, costretto a vivere come un topo per non farsi arrestare.

I topi

I topi lo ha concepito come un film…

Mario Gianani, il produttore, dopo aver letto la prima puntata mi aveva chiesto di realizzarne sei episodi. L’intenzione era proprio fare sei puntate da circa trenta minuti. Io ho voluto rispettare questa cadenza, ma ho pensato a un film di tre ore, che si divideva in momenti precisi, con un crescendo. La scansione mi serviva perché il ritorno alla battuta o al tormentone aiuta a portare alla risata.

Come ha inventato quel gergo assurdo di pizzini incomprensibili che nessuno riesce a ricordare o decifrare?

«Al solito momento, in fondo alla salita, vicino alla discesa… (ride, nda)». Mi piace quel gioco, perché di solito, quando venivano trovati i pizzini dei latitanti, erano sempre in un codice stranissimo, perfino in aramaico! Il problema era trovare all’interno della famiglia chi sapesse decifrare quei messaggi astrusi. Mi divertiva l’idea che questi boss mandassero pizzini in un codice assurdo, che non capiscono nemmeno loro. Si crea una confusione divertente: «ma non era in fondo alla discesa?» «no, in fondo alla salita!». Frasi già surreali lo diventano ancora di più, quando chi deve decifrarle non ne coglie il gergo.

Una battuta che le sembra più bislacca?

Nella prima puntata il figlio di Salvatore, Benni (Andrea Colombo), aspirante chef, vuole un tatuaggio e la sorella Carmela (Michela De Rossi) dice: «I tatuaggi sono da sfigati, ce li hanno anche i calciatori!». Quella frase parte dal fatto che i tatuaggi io proprio non li capisco. La battuta però non la dice la figlia di un intellettuale, ma addirittura la figlia di un boss…

 

In questi giorni dice spesso che Cetto La Qualunque oggi sembra “un moderato”… È più difficile fare ridere in tempi bui come questi?

Secondo me sì. In questi anni ho anche scritto uno dei pochi libri comici usciti in Italia, Lenticchie alla julienne (ed. Feltrinelli). Ho il vivo desiderio di lavorare ogni giorno sull’ironia, nonostante la crisi intorno. La nuova generazione, anche per la confusione creata dal Web, microazioni, microfrasi, credo abbia minor attitudine all’ironia. Da spettatore dico che forse oggi è più difficile ridere, da professionista però continuo a cercare di far ridere il pubblico. Da spettatore, ad esempio, da tempo volevo vedere il tema della mafia affrontato in chiave comica. Non so di preciso se sia più complicato far ridere oggi, di sicuro è più faticoso. Per fare ironia devi avere una maschera, un ritmo, un’energia, ma innescarle di questi tempi è forse più impegnativo.

Come nasce una maschera?

Un personaggio parte sempre da un’urgenza estrema. Quando ti trovi davanti alla pagina bianca, se sai cosa vuoi raccontare, il personaggio nasce quasi da sé, così come la postura e le movenze. Se ti piace veramente un carattere, comico o drammatico, troverai la forma in maniera spontanea. Certo devi anche leggere, studiare e documentarti…

i topi

Immagino sia come chiedere a un padre a quale figlio vuole più bene, ma ha un personaggio preferito tra tutti quelli che ha creato?

Ritengo che Epifanio sia ancora uno dei più moderni e anticonformisti. Non lo faccio più da tempo, anche per ragioni di età, come se un cinquantacinquenne volesse fare Pinocchio! Epifanio incarna quella dolcezza e quella ingenuità estrema, che in questi tempi sono pura trasgressione. Oggi essere ingenui e dolci è inammissibile!

I topi avrà un seguito?

Dipende da tanti fattori e dalla Rai che ha appoggiato molto questo progetto. Io ho già in mente un inizio straordinario per la settima puntata al mare!

Pensa sia meglio vedere I topi a cadenza settimanale o tutto insieme su RaiPlay?

Da spettatore consiglio di vederla tutta insieme come un film di tre ore. Anche due puntate a settimana possono essere un modo per dosare il divertimento. È giusto che ognuno scelga la modalità che preferisce. Certo, credo che questa sia una serie che vista tutta insieme crei l’effetto “film”.

Luca Barnabé