Escobar – Il fascino del male, Javier Bardem: “Io non sono cattivo”

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Javier Bardem

“Non è che io provi una fascinazione per il male, è che spesso mi prendono per interpretare
il vilain, che ci posso fare? Non sono cattivo, è che mi scelgono per questi ruoli…».
Pare di sentire Jessica Rabbit (con le dovute differenze di sesso, curve e corporatura)
quando diceva: «Non sono cattiva, è che mi disegnano così!». Tanto Javier Bardem, protagonista di Escobar – Il fascino del male, può essere spietato ed efferato sullo schermo, tanto è simpatico, intelligente, mai banale nella realtà.

Escobar – Il fascino del male
Escobar – Il fascino del male

Un altro elemento distintivo è che, quando lo scelgono per “questi ruoli” da criminale,
di solito gli rifanno i connotati: capellone e baffetti goth in Perdita Durango, caschetto da
paggio in Non è un paese per vecchi (Oscar come migliore non protagonista), biondo platino e finta dentatura staccabile in Skyfall e, infine, protesi di grasso, capelli ricciuti e baffetti in Escobar – Il fascino del male, di cui è anche produttore (sarà nelle sale dal 19 aprile). Lo abbiamo incontrato alla Mostra di Venezia, dove il divo spagnolo era protagonista di due film, Madre! di Darren Aronofsky (in concorso) e, appunto, Escobar di Fernando León de Aranoa (fuori concorso). In entrambi i ruoli sfoggia il suo lato più oscuro e violento. Nel primo è uno scrittore devoto al male (stranamente senza protesi!), ma è soprattutto nel secondo che Bardem offre una delle migliori performance degli ultimi anni, ridando corpo e volto al vero criminale Pablo Escobar, ex re del narcotraffico, in maniera credibile e mai caricaturale (da antologia la scena in cui dice al figlioletto di non usare droghe).

Escobar – Il fascino del male
Escobar – Il fascino del male

Il quarantanovenne Bardem, viso e corporatura scolpite dal passato da rugbista (il naso
però se lo ruppe a 19 anni in una scazzottata in un bar), racconta a Ciak come si è preparato al suo nuovo, ennesimo “cattivo”. Le era già stato offerto più volte questo
ruolo, in altri film e serie Tv.

Come mai ha detto “sì” solo ora, fino addirittura a produrre il progetto?
La prima volta che mi è stato chiesto di interpretare Escobar era il 1998, per un ruolo
secondario in un film, dissi di no perché non conoscevo per niente il personaggio reale.
Da quel giorno però ho cominciato a leggere molto e documentarmi su di lui. Come attore
lo trovavo un ruolo attraente, benché tanto distante da me e dai miei principi morali. In
seguito mi hanno offerto tanti altri “Pabli”, ma non mi convincevano. Questo progetto
mi è piaciuto subito, perché parte dal libro Amando Pablo odiando Escobar di Virginia
Vallejo (giornalista amante di Escobar, Nda) e mette a fuoco il legame tra l’ “essere umano” e il mostro, come potesse essere marito e padre affettuoso, amante premuroso e contemporaneamente spietato assassino. Non ho voluto incontrare nessun famigliare di Escobar, di cui ho letto molti libri, in particolare la biografia del figlio, né vedere nessuna delle serie o dei film per la Tv già realizzati su di lui, perché non volevo restarne condizionato. Ho guardato solo Escobar, perché il regista Andrea Di Stefano è un mio amico e Benicio del Toro un attore formidabile.

Escobar – Il fascino del male
Escobar – Il fascino del male

Sua moglie Penélope Cruz, che interpreta Virginia Vallejo, l’amante di Pablo, dice che è rimasta molto turbata durante le riprese a causa della sua capacità di aderire in maniera inquietante al personaggio!
È vero. A volte le lacrime che doveva piangere nella finzione sono sgorgate spontaneamente perché Penélope provava estrema inquietudine a causa mia, vedendomi “come” Pablo. Anche per me è stato un ruolo complesso e impegnativo: Escobar è un cattivo realmente esistito che ha ucciso e fatto del male a tante persone e a tante famiglie. Quando arrivavamo a casa, però, lasciavo sempre “Pablo” fuori dalla porta e tornavo Javier! In generale non è affatto salutare restare nel personaggio, specie se è un mostro
realmente esistito.

Luca Barnabé

Continua a leggere l’intervista sul numero di Ciak di Aprile