James Caan, il duro dal cuore d’oro della New Hollywood

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James caan

Era un ragazzo del Bronx, figlio di un commerciante di carne, James Edmund Caan. Giocatore di football nella prestigiosa squadra del college di Michigan State, la scuola che gli cambiò la vita fu la Hofstra dello stato di New York, dove aveva in classe un italo-americano di nome Francis Coppola.

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Lui, figlio di ebrei tedeschi, deve avere sentito un qualche tipo di affinità, e l’amicizia con questo tipo strano che sognava di fare fu probabilmente una delle ragioni che lo spinsero alla recitazione.

Naturalmente tutte le mie improvvisazioni finivano in qualcosa di violento” avrebbe detto scherzando anni dopo dei suoi anni di studio. Ma in realtà James Caan aveva una sensibilità tutta sua, che riusciva a trasmettere attraverso un’espressività molto particolare.

Erano gli inizi degli anni Sessanta, James fece tutta la sua brava gavetta in teatro e in televisione, fece una comparsata in Irma la dolce, un giorno sul set con Billy Wilder, un attore di 23 anni avrebbe dato un paio di dita per avere la stessa possibilità.

Nel 1965 incontra Howard Hawks che lo vuole protagonista di Linea rossa 7000, un film ambientato nel mondo delle corse automobilistiche non particolarmente riuscito, ma Caan è bravo e Hawks se lo porta dietro per il remake di Un dollaro d’onore, El Dorado.

Piacere a registi di enorme talento è sempre stata una sua caratteristica. Robert Altman lo vuole protagonista di Countdown, film che poi fu tolto al regista per uno dei motivi più assurdi della storia del cinema, perché in più scene c’erano dei dialoghi sovrapposti. La Warner tagliò Altman per incompetenza, in realtà perché non piaceva loro il tono molto politico che aveva assunto un film che parlava di due astronauti americani destinati a battere l’Unione Sovietica nella corsa alla conquista della Luna. Al fianco di Caan c’era Robert Duvall che avrebbe incontrato nuovamente in un film diretto dall’amico Francis Ford Coppola. Naturalmente parliamo di Non torno a casa stasera.

Prima di riunirsi nuovamente per Il padrino, Caan è protagonista di un film per la televisione in cui dimostra tutto il suo talento e le sue sfaccettature. Un prodotto praticamente introvabile ormai dal titolo La canzone di Brian, in cui interpreta un giocatore di football all’apice della carriera, Brian Piccolo, a cui viene diagnosticato un cancro incurabile. Tratto da una storia vera, è una delle migliori interpretazioni dell’attore.

L’anno dopo sarebbe arrivato Sonny Corleone, il primo a morire della famiglia, ma capace di vivere a lungo abbastanza per entrare nella leggenda. Paradossalmente per lui Il padrino fu un film quasi minore in quegli anni Settanta che lo videro davvero come una delle grandi star del decennio, lavorando con registi del calibro di Sam Peckinpah (Killer Elite), Karel Reisz (il magnifico 40.000 dollari per non morire, tratto da una sceneggiatura di James Toback), e cimentandosi nei generi più diversi, dalla commedia romantica, con partner come Marsha Mason e Barbra Streisand, diretto addirittura da Claude Lelouch nel film Un altro uomo, un’altra donna, un western melò bizzarro ma che lo divertì molto.

E poi, soprattutto, Rollerball, di Norman Jewison, opera fantapolitica che fu in qualche modo lo spartiacque di un genere e di un momento storico, film che ancora oggi ha un fascino straordinario, soprattutto grazie al suo campione del gioco più violento di sempre, Jonathan, osannato dalla folla che non capisce dove sta andando l’umanità.

Dopo avere lavorato con Alan J. Pakula in E venne un cavaliere libero e selvaggio, dove recita al fianco di Jane Fonda, tiene a battesimo un giovane Michael Mann interpretando il protagonista di Thief, inopinatamente tradotto in Italia come Strade violente, un mezzo capolavoro a cui Caan offre un importante contributo.

Poi, per alcuni anni, l’abisso. La sorella malata di leucemia, un morboso rapporto con una polvere bianca che lo spinge anche dire cose che lo emarginano dalla Hollywood che conta.

Praticamente non lavora per sei anni, finché un vecchio amico che ha appena sofferto la più immane delle tragedie, la perdita di un figlio, non gli chiede di essere il protagonista di un film sulla morte, l’elaborazione del lutto e la consapevolezza di essere un sopravvissuto. Il film si chiama Giardini di pietra, il regista Francis Ford Coppola, James Caan è monumentale nel ruolo di un ufficiale dell’esercito che piange il figlio morto in Vietnam.

La sua carriera riparte alla grande, Rob Reiner lo vuole co-protagonista, vittima di Kathy Bates, in Misery non deve morire, uno dei migliori adattamenti di Stephen King mai portati sullo schermo.

Si ributta nella commedia, scherzando sul suo essere ancora identificato come il figlio di Vito Corleone, duettando amabilmente con Hugh Grant in Mickey Occhi Blu. Come capita agli attori che hanno avuto la seconda possibilità diventa un caratterista di lusso, togliendosi anche la soddisfazione di contribuire a un successo di box office incredibile come la commedia natalizia Elf.

Se n’è andato a 82 anni, dopo una vita personale tempestosa, ma come sempre dovrebbe essere per un artista, è quello che ha lasciato che deve essere giudicato. E per fortuna molti dei suoi film non ci stancheremo mai di guardarli.