L’audizione: Ina Weisse racconta il suo secondo lungometraggio

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Il film della regista tedesca, interpretato dall’attrice Orso d’oro Nina Hoss, uscirà nelle sale il 5 maggio.

«Bisogna continuare a credere nei film d’autore». Così la regista Ina Weisse, presentando a Roma il suo secondo lungometraggio, L’audizione, dal 5 maggio nelle sale per la P.F.A. Films di Pier Francesco Aiello. Causa Covid, ci sono voluti quasi due anni per (ri)vedere quest’opera, dopo l’anteprima al Bif&st 2020 (e prima ancora a Toronto e a San Sebastián, Concha de Plata all’attrice protagonista Nina Hoss), presieduto da una grande autrice di quel cinema tedesco di cui Weisse è esponente, Margarethe Von Trotta. «Lei si è sempre battuta molto per le registe donne», afferma Weisse, «All’epoca ha dovuto a lungo fare l’attrice prima di potersi avvicinare alla regia, e penso che non sia mai abbastanza grande il tributo che le dobbiamo mostrare per aver operato da apripista in questo mestiere».

Ma il fatto di aver dovuto aspettare così tanto L’audizione nei nostri cinema è emblematico della situazione che la stessa Weisse denuncia: «Penso che il film d’autore abbia vita molto difficile in questo momento. La pandemia è come se avesse amplificato i problemi del cinema autoriale». Problemi tra cui la regista cita l’egemonia ormai esercitata, anche in termini di attenzione dei media, dalle piattaforme streaming come Netflix. Il virus ha poi ristretto ulteriormente le possibilità di molti film di arrivare in sala e di restarvi un numero adeguato di giorni: «Non abbiamo più questi tempi dilatati», sottolinea la regista, «un tempo un film d’autore, che magari veniva presentato al cinema per una settimana, poi permaneva nelle sale, magari poche, però a lungo, anche un mese. Anche se la stampa non ne parlava, aveva comunque il tempo di potersi affermare».

E speriamo che riesca comunque ad affermarsi L’audizione, dramma che rinnova felicemente la riflessione del cinema su un’altra illustre forma d’arte, la musica, e sul rapporto tra questa e l’ossessione per la perfezione formale. Protagonista Anna, docente di violino in un liceo musicale berlinese, interpretata magistralmente da Nina Hoss, già acclamata attrice teatrale e cinematografica (molto cara in particolare alla filmografia di Christian Petzold). E che qui dà vita a una donna «molto tormentata», come la descrive Weisse, «che cade, ma che ha la capacità di rialzarsi molte volte, che porta avanti un conflitto con se stessa, ma anche con suo marito, con suo figlio». Una donna «che ha subito l’umiliazione nella sua infanzia e che inevitabilmente trasmette quest’umiliazione nel rapporto con il suo studente. E attorno a questo personaggio femminile abbiamo iniziato a costruire la storia».

Una storia per cui Weisse ha attinto anche alle sue esperienze personali: «Quando si scrive», racconta, «inevitabilmente si deve fare un incredibile lavoro interiore. In questo caso abbiamo fatto un lavoro a quattro mani io e la mia co-sceneggiatrice Daphne Charizani, e ci siamo dovute aprire. Abbiamo dovuto svelare degli aspetti che ci riguardavano personalmente. Nel mio caso e nel caso di Daphne, abbiamo studiato a lungo musica, io ho suonato per tredici anni il violino, Daphne suonava il violoncello, ed entrambe abbiamo suonato in un’orchestra. Questa era la nostra base di partenza». Fondamentali allora le scelte musicali all’interno del film: tra i brani chiave che sentiamo c’è la Ciaccona «forse uno dei brani più difficili da interpretare per chi suona il violino, e Nina Hoss, credetemi, ha imprecato tantissimo contro di me per averglielo fatto studiare!».

Nel cast de L’audizione, oltre a Ilja Monti nei panni dell’allievo adolescente di Anna, Alexander, abbiamo Simon Abkarian nella parte di Philippe, marito della protagonista, e Jens Albinus, che interpreta Christian, collega e corteggiatore della donna. Ma spicca il giovanissimo Serafin Mishiev, nel ruolo di Jonas, il figlio di Anna, che quest’ultima vuole indirizzare all’apprendimento del violino. «Avevo conosciuto questo bambino due anni prima durante un casting», racconta la regista, «e la cosa che mi aveva colpito era l’espressività dei suoi occhi. Durante le riprese è stato difficilissimo, perché scoppiava a ridere in continuazione». Per riuscire a farlo concentrare, prosegue, «ho dovuto creare uno spazio solo per lui, all’interno del quale lui si sentisse abbastanza libero, ma con la consapevolezza di dover dare il massimo. Penso di esserci riuscita, tant’è che ora ha scelto di intraprendere la carriera di attore».

Weisse (già regista di Der Architekt), che tra le principali fonti d’ispirazione del suo cinema menziona Ingmar Bergman e Andrej Tarkovsky, ha condiviso anche il suo punto di vista sulla drammatica situazione ucraina: «Mio fratello ha accolto una famiglia ucraina a Berlino. Il padre di questa famiglia è dovuto rimanere in Ucraina, cercano di raggiungerlo telefonicamente ogni giorno, anche solo per avere la prova che è ancora vivo». E sulle conseguenze che rischia di avere anche sul lavoro degli artisti russi, ingiustamente boicottati come risposta all’invasione: «La cosa per me più importante di tutta questa esperienza è rendersi conto che nonostante tutto ciò che sta accadendo bisogna comunque lasciar spazio alla cultura. Penso ai registi russi, ma anche agli scrittori russi, ai ballerini russi, ai musicisti russi, che in questo momento si trovano senza lavoro perché gli viene negato, quasi si volesse addossare a loro una colpa che non hanno».