L’ultima volta che siamo stati bambini, l’esordio di Bisio è il più visto

Il primo film da regista del popolare attore conquista il weekend

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L'ultima volta che siamo stati bambini Claudio Bisio (Paolo Ciriello)

Il film L’ultima volta che siamo stati bambini di Claudio Bisio, una coproduzione Solea, Bartlebyfilm in associazione con Medusa Film (che lo distribuisce nelle sale) in collaborazione con Prime Video, nel suo primo weekend di programmazione è stato il film più visto con oltre 66 mila presenze (66.777 per la precisione) e un incasso totale di quasi mezzo milione (448.704) di euro.

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Il grande successo da parte del pubblico di giovani e giovanissimi – grazie al quale il film ha già ricevuto numerose richieste di programmazione da parte delle scuole, pervenute alla mail [email protected] – è solo uno dei motivi per cui lo stesso vice presidente e AD di Medusa Film, Giampaolo Letta, ha fatto riferimento all’anniversario degli 80 anni dal “sabato nero” del rastrellamento degli ebrei da parte dei nazisti nel ghetto di Roma, avvenuto proprio il 16 ottobre 1943, dichiarando: “Siamo molto soddisfatti per l’apprezzamento che il nostro film sta ricevendo anche da parte del pubblico giovane. In questo momento così difficile, segnato da avvenimenti tragici, in occasione dell’80esimo anniversario del rastrellamento del ghetto di Roma, oggi più che mai ci ricorda l’importanza e il valore della memoria”.

Un anniversario importante, del quale abbiamo parlato con i protagonisti del film – oltre che di altro – anche nelle nostre video interviste:

Claudio Bisio e le star di L’ultima volta che siamo stati bambini (INTERVISTA)

Marianna Fontana e Federico Cesari in L’ultima volta che siamo stati bambini (INTERVISTA)

 

Il trailer HD di L’ultima volta che siamo stati bambini:

 

Dalle note di regia di Claudio Bisio:

Si può raccontare l’orrore senza mai mostrarlo? E lo si può narrare attraverso lo sguardo disincantato e inconsapevole di tre bambini di nove anni?

Il mondo visto dai ragazzini. Questo è il film. Il cuore di questo racconto è rappresentato dai bambini, dal loro agire, dalle loro parole e pensieri che imprimono alla storia un tono leggero e ironico. Buffo, malgrado tutto, perché in realtà loro sono serissimi.

I quattro bambini che giocano alla guerra nella Roma del 1943 (questa storia è stata scritta e pensata prima della guerra in Ucraina, ma quando nel film si vedono bambini con fucili di legno che si “ammazzano per finta” come non pensare ad alcune immagini reali viste in televisione in questi mesi?) sono amici, hanno fatto tra di loro un “patto di sangue” (… anzi, di “sputo” perché tagliarsi il palmo della mano con un coltello fa troppa paura). Hanno giurato di aiutarsi sempre, qualunque cosa accada. E quando uno di loro scompare – Riccardo, il bambino ebreo -, per gli altri tre è naturale andare a salvarlo.

Cercare leggerezza di racconto, di dialoghi e di recitazione in un contesto tragico come quello della seconda guerra mondiale, la vera scommessa. In un road movie che racconta l’amicizia, quella dell’infanzia, intesa quale momento della vita in cui si creano legami indissolubili. E una storia che li farà crescere molto, troppo in fretta, fino a fargli tristemente realizzare che quei tre giorni sono stati davvero l’ultima volta che sono stati bambini.

Un film su un dramma a cui fra poco le nuove generazioni non potranno più avere accesso attraverso i racconti di coloro che ne furono vittime. Un film sulla memoria, perché solo la memoria può (forse) proteggerci da altri orrori, da altri genocidi.