Marco D’Amore a Ischia: «L’Immortale è De Sica»

L'intervista all'attore di "Gomorra" e neo regista del film "L'Immortale" in occasione dell'Ischia Film Festival. Il ricordo del maestro De Sica e l'invito a ripartire attraverso la cultura. Parla Marco D'Amore

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«Sono particolarmente contento che si tenga proprio qui a Ischia il primo festival con anche la presenza del pubblico e degli ospiti e di poter accompagnare questa sera il mio film per la proiezione della serata conclusiva della manifestazione».

Marco D’Amore è appena sbarcato a Ischia quando ci racconta al telefono la gioia di essere presente con la sua opera prima L’Immortale alla XVIII edizione dell’Ischia Film Festival, la manifestazione diretta da Michelangelo Messina. Questa sera il film tornerà a ricevere l’abbraccio del pubblico nella sala Piazza d’Armi del Castello Aragonese, a suggello di una lunga vita cominciata lo scorso 5 dicembre. L’Immortale ha già totalizzato quasi 900.000 spettatori, incassando poco più di sei milioni di euro ai botteghini, è candidato ai Nastri d’Argento come Miglior Opera Prima e ha consacrato il talento di Marco D’Amore non solo come interprete, ma anche come regista, sceneggiatore e produttore.

D’Amore, se lo aspettava questo percorso trionfale per il suo debutto alla regia?
«Quando uno affronta un progetto mette sempre a bilancio un certo “rischio d’impresa”. Noi siamo usciti a Natale contro Frozen II e l’ottimo film di Ficarra e Picone, pochi giorni dopo sarebbero arrivati anche i film di Ozpetek e Garrone, quindi il risultato che abbiamo ottenuto è andato ben oltre ogni nostra più rosea previsione. La cosa che più mi ha fatto piacere è che il film abbia avuto un successo trasversale in tutto il paese e non solo in Campania. Anche se Gomorra è stata certamente un volano per suscitare l’interesse del pubblico, L’immortale ha vissuto di vita propria».

Cosa l’ha spinta a misurarsi con la regia?
«Recito da quando avevo quindici anni e a diciotto ho avuto la fortuna di poter andare in tournée con Toni Servillo, che considero mio maestro e con cui ho lavorato per dieci anni. Però in me è più forte l’attrazione per le storie, che non quella per il personaggio: sceneggiare, produrre, dirigere, sono le sfide in cui mi sono buttato a capofitto. Cosa voglia dire essere attore lo so, conosco le miserie e le frustrazioni degli attori, così mi è più facile farmi capire da loro. Dopo aver diretto alcuni episodi della quarta stagione di Gomorra, ho sentito che ero pronto e così ho ideato, scritto e diretto L’Immortale».

Che metodo usa per dirigere i colleghi?
«Stare al centro delle cose con leggerezza. Gli attori li so scegliere e quando hai gli attori giusti la base del film c’è già, poi mi metto in gioco con loro, ai provini sono io a dargli le battute, tolgo le barriere».

Il suo regista di riferimento?
«Ce ne sono tanti, la mia è una “library” in continuo aggiornamento, ma quello su cui sono cresciuto fin da bambino è stato Sergio Leone: C’era un volta in America lo so a memoria, è il mio film del cuore».

Nella parte in cui si narra in flashback l’infanzia del suo personaggio ci sono però degli echi del cinema di Vittorio De Sica, non trova?
«De Sica fa parte della mia “memoria storica”, l’ho per così dire “ereditato” da mio padre, che mi ha fatto vedere tutti i suoi film fin da quando ero piccolissimo. Nel narrare l’infanzia, la miseria, la Napoli popolare degli anni ’80, non potevo non pensare a Sciuscià e a Ladri di biciclette, però per pudore non paragonerei mai il mio lavoro a quello di un simile gigante. Io De Sica lo cito con rammarico: è un grandissimo che ha saputo eccellere nella recitazione, nella scrittura, nella regia, il suo lavoro è conosciuto e ammirato in tutto il mondo (da Woody Allen a Tarantino non c’è regista americano che non conosca a memoria i suoi film), eppure in Italia non è stato celebrato abbastanza e questo lo trovo assurdo».

Parlando di duttilità creativa, lei ha donato la sua voce al film “Le Metamorfosi” di Giuseppe Carrieri. Come è nata quella collaborazione?
«Dalla mia amicizia ventennale con Gianni Canova, iniziata quando lui insegnava alla Paolo Grassi. Quando mi ha parlato di questo progetto dello Iulm, ho accettato subito. Mi è stato offerto di recitare brani di Ovidio tradotti dal latino al napoletano antico. Carrieri mi aveva fornito la traduzione di Carlo Avvisati e Salvatore Argenziano, su cui ho apportato piccole modifiche, ritrovando in qualche modo la mia passione originaria per il teatro: è stato un vero dono poter recitare quelle frasi!».

Quando c’è stato il lockdown su cosa stava lavorando?
«Eravamo nel pieno della preparazione della quinta stagione di Gomorra di cui sono il direttore artistico. Ora siamo in ritardo di tre mesi: il nostro è un lavoro che prevede spostamenti di gruppo, visite nelle case delle persone, tutte cose che vanno fatte solo con la garanzia di rispettare tutti i protocolli di sicurezza. Però c’è una cosa che vorrei sottolineare».

Dica.
«Credo che questi mesi di chiusura abbiano dimostrato quando la cultura, l’arte, siano fondamentali per l’esistenza di tutti noi: l’uomo ha bisogno di raccontare storie per poter interpretare il futuro. Mi auguro che lo Stato si renda conto che ora ci sono 300.000 lavoratori dello spettacolo che sono rimasti a casa, e senza tutele, né garanzie. Bisogna che la cultura torni al centro dei piani di rilancio del Paese, perché la cultura è il centro di ogni piano di rinascita».

Di Oscar Cosulich