Sylvester Stallone tra Tulsa King 2 e il prequel di Rambo

Sly torna al successo a 75 anni nella sua prima serie tv e annuncia a Ciak un nuovo capitolo della saga sul soldato ribelle: «Lascerò che a interpretarlo sia un giovane attore»

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Negli Stati Uniti è un successo alla pari di Yellowstone, in Italia ha debuttato su Paramount+: Tulsa King è la serie, firmata dal candidato all’Oscar Taylor Sheridan, che consacra Sylvester Stallone nei panni di Dwight “The General” Manfredi, ex capo della mafia newyorkese che cerca di rifarsi una vita mafiosa dopo 25 anni di carcere, nel piccolo mondo di Tulsa in Oklahoma, aiutato da un gruppo di personaggi improbabili. Ma quando gli toccano la figlia, la sua tranquilla routine da mafioso si trasforma in una caccia.

Dopo Samaritan, il film distribuito su Prime Video, l’attore hollywoodiano sembra dunque deciso a continuare sulla strada dello streaming, soprattutto se sul piatto c’è John Rambo. L’idea di farne un prequel era nell’aria, Stallone si era detto favorevole, avrebbe preferito tornare all’epoca della guerra in Vietnam, ma Amazon aveva altri progetti. Così il Rambo moderno avrà il volto di un giovane attore, cui Stallone darà la sua benedizione. A Roma durante la promozione di Tulsa King, l’attore ha confermato a Ciak l’intenzione di riportare in vita quel personaggio che ha fatto la storia della sua carriera e del cinema.

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Uscito il 22 ottobre 1982 negli Stati Uniti, il film di Ted Kotcheff era l’adattamento cinematografico di First Blood, romanzo del 1972 di David Morrell, ambientato nei complessi anni ‘70 statunitensi, mentre era agli sgoccioli la drammatica guerra del Vietnam. «Di Rambo ne stiamo parlando con Amazon – ci ha raccontato Stallone – Io preferisco lasciarlo interpretare a un giovane attore. Non si tratta di un prequel, puntano ad ambientarlo nei giorni d’oggi, anche se a me sarebbe piaciuto tornare ai tempi del Vietnam».

Già immagina chi potrà essere il giovane Rambo?

Non ho idea, non ho ancora trovato un attore ideale per quel ruolo. Rambo devi averlo dentro di te, deve essere parte del tuo dna, ma bisogna che sia simpatico perché lo è, è un killer simpatico. Non è facile trovare questo ragazzo, so che c’è, magari lo troverò in giro per strada come è successo per l’attrice che interpreta mia figlia in Tulsa King. Nella seconda stagione diventerà la protagonista.

C’è un ruolo che nella sua carriera ha fatto la differenza o deve ancora arrivare?

Sfortunatamente la maggior parte dei miei ruoli sono nel passato, come per altri attori come Harrison Ford o Michael Douglas. Non vedo nel mio passato il ruolo che mi ha cambiato la vita, Dwight potrebbe essere il ruolo più speciale che abbia mai fatto, perché abbiamo visto tanti film con gangster quasi sempre isterici, dato che la maggior parte degli attori pensa di dover interpretare quel ruolo in quel modo. Io ho reso Dwight un mafioso diverso, è un uomo simpatico, felice, con un forte senso dell’umorismo, ma se gli toccano la figlia, diventa come Rambo. Chiunque abbia una figlia si può identificare in lui.

Cosa le è piaciuto di questo personaggio?

Il fatto che non fosse mai stato fatto prima. Dwight è totalmente originale, è il mafioso senza essere mafioso, perché dopo il carcere viene allontanato dalla cupola, ma cerca di ricrearsi il giro con gente strana, cowboy, indiani, ragazzi della generazione Z. C’è molto ironia, non ci sono solo assassini.

Ha accettato il ruolo subito?

Quando ho letto il copione l’ho trovato qualcosa di assolutamente nuovo, un po’ come mi era successo per Cliffhanger: appena letta la sceneggiatura me ne sono innamorato.

Sognava di interpretare il mafioso fin dai tempi del Padrino?

Sì, assolutamente. Da giovane volevo fare una comparsa nella scena del matrimonio, c’erano almeno cinquecento persone, potevo anche stare dietro la torta non mi importava. Al provino mi risposero: «Ci dispiace ma non sembri abbastanza italiano». Trentacinque anni dopo quella persona che mi ha detto no è diventata il mio agente.

Questo in Tulsa King è il suo primo ruolo in una serie tv. Pensa che le piattaforme siano il futuro?

Ho studiato molto lo streaming, vengo da un mondo che ormai è passato. Chi decide sono i pubblicitari, un progetto si può fare se si può vendere. Agli inizi della carriera, film come Rocky o Taxi Driver potevano anche non sembrare subito buone idee, ma bastava che il capo degli studios dicesse sì ed era fatta. Sulle piattaforme di streaming oggi ci sono le cose scritte nel modo migliore, più che al cinema, è lì che sta il lavoro. Vedo attori che fanno bei film, indipendenti, ma magari nessuno li vede mai.

Anche con il suo film Samaritan ha preferito la strada dello streaming e non la sala.

Samaritan è stato un film costoso, ma sapevo che non poteva andare nei cinema, era una produzione abbastanza grande da competere con i film della Marvel, è diventato un successo su Amazon, ma nei cinema non avrebbe funzionato.

Perché?

I film che hanno successo in sala sono spettacolari, sono fatti per i giovani, sono soprattutto i fantasy della Marvel. Oppure ci sono produzioni imponenti come Top Gun, costata 250 milioni di dollari per gli effetti speciali.

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