COLONIA

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Nelle repressioni del Colpo di stato in Cile, anno 1973, rimangono invischiati una hostess e un idealista tedeschi, Lena e Daniel. Quest’ultimo viene sequestrato dai militari, seviziato e – si dice – “ricoverato” in un posto particolare nascosto nel Sud della nazione, chiamato Colonia Dignità e gestito con modi sadici e dittatoriali da uno strano figuro ammanicato con Pinochet, mezzo santone, mezzo boss, il predicatore Paul Schafer. Con lo scopo di ritrovare e liberare l’amante, la ragazza si finge religiosa ed entra a far parte della inquietante comunità.

Parzialmente ispirato a una storia vera (alla fine c’è anche una spiega storica che dice che da lì in 40 anni solo 5 persone sono riuscite a scappare, oltre a riferire della giusta nemesi per il suo guru), l’action-drama di Florian Gallenberger (Le ombre del tempo, 2004, ma soprattutto un Oscar nel 2000 per il corto Quiero ser) lo sembra ancor di più da quei psycho-thriller-terror italiani o spagnoli anni Settanta, ambientati in prigioni popolate da mostri laidi, cliniche per esperimenti folli o campi di concentramento nazi sado-maso. Si parte dal golpe a Santiago prevedibilmente orchestrato (da «Allende Allende el pueblo te difende» alle botte in piazza, la reclusione nello stadio, le esecuzioni sommarie, la tortura) e si arriva in un campo di prigionia e concentramento organizzato come una setta, ma alla bavarese. Infatti quando arriva Pinochet in visita ci si mette in costume coi pantaloncini corti e si fanno gli yodel. Michael Nyqvist (Uomini che odiano le donne) porta i capelli lunghi, assume pose ieratiche ed è brillantemente odioso, Emma Watson, che si fa più luminosa e meno angolosa con l’avanzare dell’età, vibra di sana rabbia e determinazione, Brühl ha la faccia pacioccona dell’idealista progressista che si ficca nei guai (peraltro nasconde benissimo la sua età ormai non più tanto lontana dai 40). Se voleva indignare e far venire sensi di colpa, il film “cicca” il bersaglio nella sua pur giustificata denuncia, se invece voleva farsi seguire come un action di genere, sia pur senza strafare il proposito lo mantiene.