Whitney, una voce diventata leggenda: la recensione

Dal 22 dicembre nelle sale il biopic sulla cantautrice e attrice statunitense

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Arriva nelle sale dal 22 dicembre Whitney: Una Voce Diventata Leggenda, il film sull’icona Whitney Houston. Naomi Ackie interpreta l’artista nel biopic musicale che racconta l’incredibile vita e la carriera di una delle voci più amate di sempre. Diretto da Kasi Lemmons e scritto dal candidato al Premio Oscar Anthony McCarten, la pellicola fa vivere al pubblico un viaggio nella vita della star americana raccontando il suo talento e i molti punti deboli del suo carattere.

Naomi Ackie perfetta nel ruolo della cantante

Naomi Ackie, nota al pubblico per aver interpretato il personaggio di Anna in Lady Macbeth, è uno dei punti di forza del film. L’attrice riesce nel compito più difficile: trasmettere allo spettatore tutte le emozioni che hanno caratterizzato la lunga e difficile carriera di Whitney Houston. La Ackie porta sullo schermo sia il senso di libertà e caparbietà della cantante nelle sue prime esibizioni che l’hanno portata al successo mondiale, sia la grande insicurezza che l’ha divorata sul finale di carriera portandola alla precoce scomparsa a causa dell’abuso di droghe. La pellicola offre anche grandi scene musicali, in particolare la straordinaria performance dell’artista al Super Bowl del 1991 quando Whitney cantò l’inno nazionale davanti a milioni di telespettatori di tutto il mondo. Le esibizioni e la colonna sonora con i successi della cantante sono tra gli aspetti più positivi del film. 

Eppure, un’occasione mancata

Il paragone con gli ultimi biopic usciti in sala è purtroppo una Spada di Damocle per il film: la pellicola non raggiunge gli stessi livelli di Elvis e Bohemain Raphsody. Non tutto funziona alla perfezione come ad esempio il personaggio di Clive Davis (interpretato da Stanley Tucci), il discografico che tanti anni fa scoprì l’incredibile talento della diva. L’uomo è presentato come un uomo buffo e sono poche le scene dove riesce veramente ad incidere e farsi notare come pilastro della vita reale dell’artista.

Il film non esita, nonostante tra i produttori ci siano lo stesso Davis e Pat la sorella della Houston, a mostrare il lato oscuro della cantante: la tossicodipendenza, la complessa relazione con il marito Bobby Brown e il travagliato rapporto con il padre John. Il problema è che tutto risulta molto schematico e poco esaustivo senza tutte le spiegazione che un biopic dovrebbe dare. Non viene nemmeno accennato il tragico destino che seguirà anche la figlia di Whitney Houston, Bobbi Kristina Brown, che pochi anni dopo la morte della madre morirà in circostanze analoghe.

RASSEGNA PANORAMICA
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