Kasia Smutniak tra l’antica Roma di Domina e i drammi di oggi

Intervista all’attrice, attesa a Toronto per il doc di debutto alla regia e protagonista su Sky dall’8 settembre della seconda stagione di Domina: “Raccontare storie che fanno pensare è importante”

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Kasia Smutniak Domina

Kasia Smutniak risponde da Mustang, in Nepal, ai piedi dell’Himalaya. Le immagini che posta su Instagram raccontano luoghi, scene, cibi lontanissimi. È in vacanza eppure ha accettato l’intervista. E le sue parole, anche a così tanti chilometri (e universi) di distanza, arrivano (come sempre) precise, concentrate. Il tono è gentile, il racconto è appassionato, sia che si tratti di Domina che di MUR. Il primo è il period drama Sky Original che torna, dall’8 settembre su Sky e NOW per la seconda stagione e per continuare il racconto, dal punto di vista femminile, delle lotte per il potere durante il principato di Cesare Augusto.

Creata da Simon Burke, la serie vanta nuovamente un grande cast internazionale e assicura otto episodi a base di omicidi, sesso, tradimenti e battaglie. Il secondo, MUR, è il documentario esordio di Kasia alla regia che sarà presentato in anteprima mondiale, in selezione ufficiale, sezione TIFF DOCS al Toronto International Film Festival. «Nato dalla necessità di comunicare la difficile situazione al confine fra Polonia e Bielorussia, si è rivelato essere – rivela lei – un viaggio inaspettato, un film che è allo stesso tempo un diario intimo e una denuncia». Due progetti diversi, dunque, ma altrettanto importanti, che l’attrice ha anticipato a Ciak in questa intervista.

In Domina torna a vestire i panni della protagonista Livia Drusilla. Con quali emozioni si è avvicinata al set per questa seconda stagione?

È stato un po’ come tornare a casa. Quando si girano progetti spalmati in un tempo così lungo, alla fine il set diventa un luogo familiare così come le persone con le quali lavori. Cinecittà, che è dove abbiamo girato, mi è ormai davvero molto famigliare. In questi ultimi anni è cresciuta e cambiata. Sono felice di vederla riempita di tanti progetti internazionali, di arrivare e non trovare posto dove parcheggiare. Camminare la sera in un luogo così magico è veramente un onore. Per me Domina non è solo un progetto lavorativo. La serie è nata da un’idea di Simon Burke, un grande appassionato del tema e dell’epoca romana, che però ha voluto mettere al centro le donne. Mi è capitato un personaggio bellissimo ma la mia, arrivo a dire, è quasi una mission: dare agli spettatori, ma anche a me stessa, la possibilità di scoprire qualcosa di più su ciò che siamo oggi. La civiltà romana ha sviluppato la nostra mentalità e il nostro modo di essere. Per quanto ci sembri lontana, esotica, strana, assurda e spesso violenta, è la base di tutto quello che viviamo nell’epoca moderna. È quindi importante capirla nel profondo e comprendere il ruolo delle donne all’epoca, sempre poco o per nulla raccontato. Gli storici erano tutti uomini e i fatti che venivano narrati erano per lo più politici o legati alle conquiste. L’universo femminile non veniva raccontato e così ci siamo tarati su una Storia che non riguarda l’altra metà dell’umanità: le donne. Domina è un’occasione per dare voce a loro.

Con Livia è stata alla guida di un grande cast internazionale che vede, fra gli altri, Matthew McNulty, Ben Batt, Claire Forlani, Christine Bottomley…

Sì, io sono l’unica del gruppo che effettivamente vive a Roma. Mi sono un po’ trovata a fare da Cicerone in città (ride, ndr). La loro passione per questo progetto si è rivelata piena, addirit- tura molti di loro hanno imparato l’italiano. È una cosa insolita. Abbiamo legato tantissimo. È stato meraviglioso lavorare con un gruppo di persone così talentuose. Hanno un’umiltà, una preparazione e una voglia di scoprire in- credibili. Questa cosa è bellissima. E contagiosa.

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Cosa ci aspetta in questa seconda stagione? Come è cambiata Livia?

Nella seconda stagione il tempo è un po’ passato e i figli di Livia, che ha sempre il piano di ripristinare la Repubblica e la democrazia a Roma, sono cresciuti. Il gioco si fa duro e il loro rapporto verrà ulteriormente messo in discussione. In arrivo ci sono poi altri personaggi molto interessanti. Ho la sensazione che questa seconda stagione sia ancora più approfondita dal punto di vista politico ma anche emozionale. È interessante leggere le sceneggiature basate sulla storia reale. Ci sono le basi storiche per sapere come andrà a finire ogni personaggio, però mancava la parte emotiva, emozionale. Io sono la prima fan della serie! E anche sul set l’ho vissuta a pieno. Quello che accadeva mi sembrava vero. L’immersione nella storia era totale. Le ricostruzioni incredibili, realizzate a Cinecittà, e il fatto di girare sempre coi fuochi accesi o le candele davano l’impressione di essere davvero in quell’epoca. A tutto questo si aggiungono poi i costumi e i dettagli del Premio Oscar Gabriella Pescucci. Non mi sembrava di lavorare ma di vivere quei momenti!

Possiamo dire che Livia è stata una delle prime femministe della Storia. Perché è importante raccontare storie così anche alle giovani di oggi?

Abbiamo cercato di renderla più vicina e attuale possibile, anche attraverso la lingua. I sentimenti, quelli, sono sempre stati universali. L’epoca romana sembra molto distante, forse per la sua crudeltà. E poi, come dicevo prima, è stata più raccontata dal punto di vista maschile, attraverso conquiste e gladiatori. Le cose stanno pian piano cambiando, anche grazie a progetti come questo che hanno voglia di esplorare l’universo femminile. Mi sembra rilevante non solo per le ragazze, ma per tutti. Per noi artisti è rilevante raccontare storie che fanno pensare, insegnano, che fanno scoprire cose nuove e rendono giustizia alla Storia, alla società. Domina era un progetto che io stessa avrei voluto vedere.

Si prepara a partire per Toronto dove presenterà MUR, il suo debutto alla regia, un documentario che racconta la difficile situazione al confine Polonia – Bielorussia. Come è nato questo progetto?

L’ho realizzato più di un anno e mezzo fa spinta dalla voglia di raccontare ciò che stava accadendo. Non sapevo cosa altro fare. La faccenda del confine fra Polonia e Bielorussia la stavo seguendo dall’inizio della crisi e avevo esaurito le idee su cosa potessi fare come persona, come singolo. Col tempo ho realizzato che avevo nelle mani una grande possibilità: potevo raccontarla. E l’ho fatto.

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Come è stato trovarsi, per la prima volta, dietro la macchina da presa?

Non sono partita dall’idea di girare un film. Sono partita dal disperato bisogno di dare una mano. Questa impossibilità di agire ha fatto sì che iniziassi a riprendere quello che stava succedendo. Mi sono organizzata velocemente e sono partita. Ma non sapevo dove sarei andata a finire.

Questa intervista è contenuta a pagina 95 di CIAK SETTEMBRE 2023