ASPETTANDO CANNES: DA “DRIVE” A “THE NEON DEMON”, LO SCHERMO VIOLENTO E ROMANTICO DI NICOLAS WINDING REFN

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Ha proprio ragione Nicolas Winding Refn quando, nell’intervista di Ciak del direttore Piera Detassis pubblicata sul nuovo numero di maggio, sostiene che tre facce come quelle di Ryan Gosling, Mads Mikkelsen e Tom Hardy non capitano spesso. Per il regista danese rappresentano “un’altra sessualità, il nuovo mondo”, in grado di esercitare “un’attrazione non lineare, non univoca, sugli uomini e sulle donne”. Non si tratta di una vera e propria rivoluzione in rosa, quindi, quella dell’imminente The Neon Demon, in concorso al prossimo Festival di Cannes e in uscita nelle nostre sale l’otto giugno, dove le protagoniste saranno soprattutto donne, modelle tra le luci al neon della California. Una sensibilità spiccatamente femminile è sempre appartenuta a tutti i protagonisti del suo cinema, dal Kim Bodnia (oggi diventato celebre per la serie di The Bridge) del primo, cultissimo, capitolo della trilogia di Pusher al Gosling di Drive e Solo Dio perdona: seppur criminali, spacciatori o giustizieri, i personaggi di Refn si distinguono per il loro romanticismo esasperato, per il fatto che davanti a nulla rinnegano la loro condizione delinquenziale ma contemporaneamente non rimangono impassibili neppure di fronte alle tentazioni dell’amore. E nel cinema citazionista, violento, sporco ma estetizzante dell’autore di Copenaghen l’amore si esprime in differenti forme, contribuendo a dare spessore a individui sfaccettati, antieroi disperati e crudeli, capaci però di inattesi slanci di umanità e sentimento.

PUSHER: LA TRILOGIA – UN MANIFESTO D’INTENTI

Il talento di Winding Refn è lampante sin dall’esordio di Pusher (1996). Un’opera che oggi appare grezza e ruvida, sicuramente debitrice del tarantinismo post-Le iene e post-Pulp Fiction, a cominciare dai dialoghi. Ma il linguaggio è già sorprendente e spiazzante, come nel magnifico piano sequenza in cui il protagonista Frank fugge dalla polizia ed è costretto a tuffarsi nel lago con la droga. Un manifesto d’intenti: cinefilia, passione per il genere, ma anche l’abilità di coordinare la propria cultura cinematografica per dare forma a un proprio stile. In tutti i lavori di Refn si sentono gli echi di grandi autori: nella trilogia di Pusher si potrebbe pensare a Jean-Pierre Melville e a Walter Hill. Sembra provenire, infatti, da un film di quest’ultimo il Mads Mikkelsen di Pusher II – Sangue sulle mie mani (2004), nei panni di Tonny, figlio di un boss criminale e appena uscito di prigione, oggetto di scherno e derisione da parte del padre e dei suoi scagnozzi. Un derelitto, dall’inquietante aspetto skinhead, vittima di vuoti di memoria e di problemi di impotenza. Un personaggio dapprima sgradevole, ma con il quale si finisce per empatizzare e che regala allo spettatore una sequenza finale a dir poco struggente. Con Pusher II appare così definitiva la straordinaria capacità di Refn di raccontare ambienti putrescenti e uomini viscidi ma tirando fuori il loro lato meno scontato, quello più vulnerabile. E lo stesso vale per il Milo di Zlatko Buric in Pusher III – L’angelo della morte (2005), un boss alle prese con il compleanno della figlia, con il desiderio di disintossicarsi dalla droga, ma impossibilitato a rinunciare a una violenza inaudita per questioni di business e perciò dolorosamente costretto a metterla in pratica anche quando vorrebbe fuggirne. A modo loro, la trilogia di Pusher racconta la quotidianità di tre romantici: sulle prime sgradevoli e spietati, ma poi visibilmente insofferenti e sognatori di un’altra realtà, di un’altra vita.

BRONSON – UN BIOPIC SENZA ETICHETTE

In Bronson (2008) sembra che la sicurezza nei propri mezzi e la certezza del proprio talento abbiano portato Nicolas Winding Refn a prendere come modello di riferimento il più grande di tutti, Stanley Kubrick. Stilisticamente, il film si avvicina ad Arancia meccanica: impressionano l’eleganza e la cura dei dettagli, la descrizione di una violenza disumana e oltremodo, e l’utilizzo tipicamente kubrickiano delle musiche che collidono con la brutalità delle immagini, alternando Wagner e Verdi a un irresistibile brano elettro-pop di Glass Candy. Tom Hardy impersona il carcerato britannico più famoso e costoso di tutti i tempi, un uomo incapace di vivere al di fuori di una cella e di non picchiare qualcuno. Il film non è però certamente un atto d’accusa alle istituzioni o alla società, a differenza di Arancia meccanica, quanto piuttosto un ulteriore ritratto di un essere umano ingestibile, incontrollabile e disperatamente solo. Diversamente dai protagonisti di Pusher, Michael Peterson detto Charles Bronson non è un sognatore, ma qualcuno che non potrebbe appartenere in nessun altro luogo che non sia una prigione. Soltanto una tutta sua visione dell’arte e un’autentica e originale interpretazione della pittura sono le alternative a un’esistenza in perenne cattività.

DRIVE & SOLO DIO PERDONA – HOLLYWOOD & RYAN

Nicolas Winding Refn va ad Hollywood e presenta al mondo intero il suo stile pop, ultracinefilo, cupo ed estetizzante. Il risultato è Drive (2011), un lavoro che prende palesemente ispirazione dal miglior cinema poliziesco degli anni Ottanta, dal primo Michael Mann a William Friedkin. Il film è girato in maniera eccezionale ma rispetto alle opere precedenti l’autore danese abusa di silenzi e ralenti. Drive conserva parecchi momenti affascinanti e irresistibili, e ritrae un nuovo supereroe metropolitano incarnato da Ryan Gosling, un giustiziere dal cuore tenero che indossa sempre guanti da guida e uno giubbotto con uno scorpione. Il personaggio è romantico, in pieno Refn-style, ma sembra un po’ più programmato e costruito rispetto agli antieroi dei film precedenti. Questa programmaticità raggiunge il suo culmine nel controverso Solo Dio perdona (2013): il punto di riferimento, stavolta, è David Lynch. Le atmosfere e le luci provengono direttamente dalle suggestioni del Club Silencio di Mulholland Drive. Il Julian di Gosling è un altro deforme corpo refaniano schiavo del proprio istinto emotivo e violento. Si può discutere all’infinito sull’effettiva originalità del film, non sulla purezza delle caratterizzazioni dei protagonisti del cinema di Nicolas Winding Refn: mostruosi e un po’ femminili, sempre meravigliosamente decadenti.

Emiliano Dal Toso