È stata una edizione particolare per Jesse Eisenberg quella del Sundance Film Festival 2024, sia per il piacere di portare ben due film (questo e Sasquatch Sunset) da attore e produttore a Park City, sia per l’affetto ricevuto dal pubblico e dalla giuria (che lo ha premiato con il Waldo Salt Screenwriting Award), sia per l’emozione di presentare una storia così personale e legata alle proprie radici come quella di A Real Pain, da lui diretto. Il “tentativo di soddisfare un prurito di vecchia data“, come lo descrive lui, che si dice “consapevole della tragica storia dei miei antenati” e che sullo schermo porta – aiutato da un ben scelto e ben diretto Kieran Culkin – la storia della sua famiglia, rappresentata quasi fino ai dettagli, come quello della “piccola casa in cui i personaggi concludono il loro viaggio, che un tempo apparteneva ai miei parenti“.
LEGGI ANCHE: Sundance 2024, tutti i vincitori e i film premiati
IL FATTO
Divisi da tempo, dopo un evento traumatico che li ha segnati in maniera diversa, i cugini David e Benji Kaplan (rispettivamente Eisenberg e Culkin) decidono di ritrovarsi e partire insieme per un viaggio alla ricerca delle proprie radici. Destinazione la lontana Polonia, dove li aspetta un tour dei luoghi dell’Olocausto e della storia del paese che li porterà da Varsavia al campo di Majdanek a Lublino, fino alla casa dove aveva vissuto la loro amata nonna. Ma tra le emozioni che naturalmente emergono da un tale tuffo nel passato più doloroso e i non detti seppelliti dai due, i giorni di convivenza forzata diventano l’occasione per affrontare vecchie tensioni e riflettere su quello che li aspetta.
LEGGI ANCHE: Sundance 2024, nel programma molte star e registi da scoprire
L’OPINIONE
Rincuorato dalla riuscita del precedente Quando avrai finito di salvare il mondo, Jesse Eisenberg sceglie di pescare nel proprio personale per realizzare un film sentito e vissuto che probabilmente non poteva trovare platea migliore di quella del Sundance Film Festival per essere tenuto a battesimo. Un’operazione che non può non avere una valenza in parte catartica, vista l’ossessione dichiarata del regista per il tema, per il passato della propria famiglia e per le proprie origini.
Le stesse del suo alter ego, il protagonista David Kaplan, per quanto forse dovremmo considerare anche il Benji di Kieran Culkin come parte della sua personalità e frutto della sua elaborazione. Una parte fondamentale, vista almeno l’interpretazione dell’attore di Succession e la sua capacità – o del suo personaggio, per come creato da Eisenberg – di dominare il road trip al quale siamo invitati con gli altri ricchi ebrei statunitensi inconsapevoli dello tsunami di emozioni e deliri che li aspettano in Polonia.
Un “dolore reale“ (come da titolo) ben diverso o più ampio e imprevedibile di quello che chiunque si aspetterebbe di affrontare in un viaggio come questo, nei luoghi dell’Olocausto. Cercato e trovato, grazie anche a un approccio encomiabile, anche quando solo formale, e al tentativo, anche quando didascalico, di osservare sé stesso e il proprio mondo dall’esterno. La propria “piccolezza“, come descrive l’autore i “nostri problemi individuali” a paragone dei “profondi traumi storici“, dei suoi antenati e – difficile non aggiungere – che molti stanno vivendo ancora oggi anche dove quella lezione avrebbe dovuto attecchire diversamente.
“Contemporaneo, non moralista, spesso comico, e con personaggi pieni di difetti” sin dalle intenzioni, e con una colonna sonora intelligente e affidata a un certo Frederic Chopin, il risultato è però più che un film a tema. Nonostante il succedersi di cartoline e momenti turistici – inevitabili stante la premessa (e che qualcuno potrebbe giudicare diversamente non essendo la firma quella del ‘buon Wes’) – e proprio grazie alla schizofrenia messa in scena da Eisenberg, comunque in grado di mantenere in equilibrio le diverse anime del film. E i due cugini protagonisti, con il ‘gomitolo’ di vissuto, amore, rancore, invidia, paura, rimpianto, desiderio che li lega indissolubilmente e con il diverso e complementare approccio alla vita e all’altro che regala i momenti più sorprendenti, le emozioni più sincere e le riflessioni più profonde.
LEGGI ANCHE: Sundance 2024, i 10 migliori film nella storia del Festival
SE VI È PIACIUTO A REAL PAIN, GUARDATE ANCHE…
L’ambientazione e il contesto storico cui si fa riferimento potrebbero far ripensare al documentario Hometown – La strada dei ricordi nel quale Roman Polanski e Ryszard Horowitz passeggiavano per la Polonia del loro passato ricordando gli anni della gioventù, ma il tono leggero, anche divertente, dalle pennellate malinconiche sono più simili a quelle di un terzetto piuttosto variegato. Quello che comprende l’italiano Easy – Un viaggio facile facile nel quale i due fratelli interpretati da Libero De Rienzo Nicola Nocella devono raggiungere i Carpazi con un carico decisamente particolare, quasi quanto quello che porta con sé l’eccentrico Ethan Tremblay di Zach Galifianakis per la ‘gioia’ del malcapitato Robert Downey Jr. con lui in Parto col folle del 2010 diretto da Todd Phillips. Ma soprattutto il film d’esordio di Liev Schreiber Ogni cosa è illuminata del 2005, dove Elijah Wood era lo studente ebreo deciso a trovare la donna ucraina che salvò suo nonno dai nazisti.