Love Me, la recensione del film con tre Kristen Stewart al Sundance

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Kristen Stewart Love Me Sundance 2024

Una storia d’amore post-apocalittica è uno tra i film più attesi del Sundance Film Festival 2024 in corso fino al 28 gennaio, si tratta del Love Me con Kristen Stewart e Steven Yeun, scritto e diretto dagli esordienti Sam e Andy Zuchero. I due californiani di Topanga si divertono a immaginare una vita molto tempo dopo l’estinzione dell’umanità, e un incontro più unico che raro, anche se online, che si sviluppa su diversi livelli e sotto diverse forme – visto che i due protagonisti sono chiamati a interpretare tre se non quattro diversi ruoliper raccontare qualcosa che conosciamo bene.

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IL FATTO

Cosa può nascere tra una boa di rilevamento sopravvissuta alla vita sulla Terra e un satellite in orbita intorno alla stessa in cerca di una qualsivoglia forma di vita? Qualcosa di sicuro, soprattutto se tanta solitudine diventa insopportabile anche per due soggetti come quelli interpretati – in forme diverse – da Kristen Stewart e Steven Yeun. Costretti ad affidarsi a modelli impropri per cercare una definizione propria e dell’altro, fino a tentare di emanciparsi con l’ambizione di sviluppare una propria coscienza. Persino capace di sentimenti.

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L’OPINIONE

È senza dubbio un “fantasioso film d’esordio quello dei Zuchero, tanto per rispettare la presentazione ufficiale del film da parte del festival di Robert Redford, anche se dopo il primo atto ricco di trovate interessanti lo svolgimento ci riporta nell’alveo della guerra tra i sessi, per quanto con stimolanti divagazioni e un contesto davvero unico. Quello nel quale si sviluppano i due personaggi, la loro coscienza e soprattutto la forma scelta per rappresentarli.

Inizialmente, come detto, due macchine, strumenti creati dall’uomo e capaci di sopravvivergli continuando – paradossalmente – ad assolvere una funzione e raccogliere dati senza che non ci sia nessuno ad analizzarli. E qui nasce l’idea che sottende tutto (e che lo rende interessante, al di là della prova degli attori, che vediamo crescere dal solo doppiaggio della boa e del satellite, alla rappresentazione prima virtuale e poi digitale, in bambole prive di sesso, fino alla vera e propria interpretazione fisica).

Del problema della coscienza dei robot si parla dai tempi di Isaac Asimov, ma qui la questione si amplia a una cerchia più ampia di destinatari, che tutti siamo coinvolti e accomunati da discorsi come quello sul senso della vita, la definizione di sé, e più prosasticamente, sull’indipendenza di pensiero e dal bisogno di assecondare modelli (anche quelli ‘social‘, particolarmente citati e in maniera più intelligente di altre volte) e aspettative piuttosto che esprimersi liberamente per quel che si è o si sente di essere.

Non mancano momenti ben scritti e meglio pensati, come la scelta dei due di ribattezzarsi in Iam e Me e della citazione – tra le tante (c’è anche Trump) – del classico CaptchaI’am human” in tutt’altro senso, anche se sono molte le scene dove il montaggio avrebbe potuto snellire una storia che probabilmente poteva restare nei limiti del cortometraggio. Non avremmo avuto un incipit molto intrigante, sin dalle scelte sonore operate per rendere l’evoluzione della boa anche sul piano del linguaggio, e buona parte delle divagazioni e speculazioni filosofiche. Che ci auguriamo il pubblico sappia apprezzare – e fare proprie – nella giusta maniera, e che in definitiva ci riportano alla riflessione più importante di tutte, sulla nostra finitezza e su come conciliarla con l’apparente certezza di “avere tutto il tempo del mondo“.

 

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A volerle vedere, molte le suggestioni nella storia d’amore e umana – per quanto (e non solo) virtuale – dei due protagonisti. Sia nella fase della scoperta dell’altro, che non può non far pensare al Lei (Her) di Spike Jonze, sia in quella più turbolenta, che in una scena riporta alla mente il Jake Gyllenhaal del Demolition – Amare e vivere di Jean-Marc Vallée. Ma ovviamente sono gli aspetti più fantascientifici e ‘definitivi’ a dominare, dalla creazione del contesto e dei personaggi alla Wall•E alla costruzione di un rapporto ‘in solitudine’ simil Finch con Tom Hanks, con un tocco di 2001: Odissea nello spazio che non guasta mai.