PORCO ROSSO

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Perfino la famiglia dei Simpson ha reso omaggio, con uno speciale episodio andato in onda sul canale Fox americano, al genio di Hayao Miyazaki, eppure uno dei suoi capolavori, Porco rosso (Kurei no buta, 1992) liberamente tratto da un manga creato dallo stesso regista, ha impiegato diciotto anni prima di essere distribuito nel nostro Paese.

Forse perché, tra tutte le opere dirette dal maestro fondatore dello Studio Ghibli, è quella più adulta, essendo una vera e propria metafora sulla lotta del vivere, nonché una storia articolata sulla passione di Miyazaki per il volo e le macchine volanti: suo padre possedeva infatti una fabbrica di materiali per aerei, tra cui i famosi caccia “Zero”. Il protagonista del film, di nome Marco Pagot (cognome scelto in omaggio ai fratelli Pagot, famosi animatori italiani) è un anti-eroe (fa la sua prima apparizione seduto su una sedia a sdraio con una rivista di cinema squadernata sul volto) con il ventre convesso e la tempra di un Humphrey Bogart disilluso, la sigaretta spesso incollata alle labbra e una voce calda e profonda, un uomo con in testa un parrucchino castano, i baffi all’insù, occhialini tondi con lenti nere e il volto trasformato in quello di un suino per una sorta di maleficio messo in atto da una ipotetica Circe. Forse è lo stesso Marco a sentirsi un maiale per essere stato l’unico sopravvissuto a una battaglia aerea in cui sono morti tutti i suoi compagni, fatto ritenuto disonorevole dai giapponesi, un evento che Miyazaki rievoca con una scena di intensa poesia nella quale i piloti trapassati appaiono ancora a bordo dei loro aerei come spettri di luce che si innalzano oltre le nuvole, accompagnati dalla musica di Hisaishi declinata con una specie di solenne struggimento.

L’avventura si svolge in Italia e in Istria sul finire degli anni Venti: Marco è un asso dell’aviazione ritiratosi sulla costa dalmata, che si guadagna da vivere con le taglie che riscuote combattendo, a bordo del suo idrovolante monoplano dipinto di rosso, i pirati dell’aria. Costoro per contrastarlo riuniscono le loro forze in un’alleanza, coinvolgendo un altro valido aviatore, l’americano Donald Curtis. Da questo momento, all’insegna della frase: «Per i maiali non c’è né patria, né legge», inizia la vera battaglia di Porco Rosso per la difesa della propria persona e della propria etica («Piuttosto che diventare un fascista, meglio essere un maiale!») incrociando l’amore fantasticato per Gina, l’elegante cantante di un night club, e una tenera affinità per Fio, una geniale diciassettenne progettista di aerei. Il film si chiude con una virile scazzottata sulla riva del mare tra Marco e il pilota americano, che rimanda a una scena da classico film western. Poi, la voce fuori campo di Fio, superati gli anni della seconda guerra, ci informa che Porco, vinta la sua battaglia con dignità, non si fece più vedere, che Mr. Curtis rientrato in America diventò una star del cinema e che lei e Gina strinsero una grande amicizia: su come sia poi andata la storia di Gina in merito a quell’amore vagheggiato durante quell’estate di tanti anni prima, cala un riserbo appartenente soltanto a loro.

Inizialmente pensato come un cortometraggio per una compagnia aerea giapponese, Porco rosso si è poi trasformato nelle mani del regista della Città incantata in uno dei lungometraggi più validi all’interno della sua filmografia, sia per la ruvidezza dei blocchi spazio-temporali che lo compongono come mattoni di una architettura certa, i contenuti politici mai più così espliciti e sia per lo spessore che ogni personaggio possiede, grazie alle tante sfumature volte a metterne in crisi l’identità per poi riaffermarla. Supportano l’opera anche dialoghi non banali, che sembrano sottolineare malinconicamente come i valori della coscienza siano l’unico baluardo contro tutto ciò che è effimero. Solo nel momento in cui Porco sembra aver riconquistato la faccia umana, forse solo illudendo un personaggio e noi spettatori con lui, egli, perso come nei sogni, contempla il cielo rivivendo il proprio dolore, esibendo con un breve numero di inquadrature fulminee le proprie ferite. Superando ogni Canto delle Sirene, affidando alla sensualità pura e ruvida di un’adolescente (Fio: «Porco, e se provassi a darti un bacio?»), Miyazaki riafferma il concetto che la poesia è sempre qualcosa che tanto più cresce e si sviluppa quanto più ha prima bruciato e distrutto, specie “fuori campo”.