Luc Besson ai giovani dalla Festa del Cinema: «Dimenticateci!»

In vena di confidenze, il regista e produttore francese racconta i suoi inizi

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Luc Besson alla Festa del Cinema di Roma

Sul palco della Sala Sinopoli dell’Auditorium Parco della Musica – Ennio Morricone si ripercorrono 40 anni di carriera di un Maestro del cinema francese e fantastico, Luc Besson. Un artista che non ha mai smesso di avere voglia di mettersi in gioco, sperimentare, anche rischiando in proprio, come il suo passato ci racconta. Ma a parlare sono soprattutto i film realizzati, a partire dal primo cortometraggio L’Avant dernier, passato quasi completamente sotto silenzio, ma propedeutico alla realizzazione dell’interessante Opera Prima del 1983, Le Dernier Combat (presentato in versione restaurata). Del quale un informale Besson, in total black e molto rilassato, ha raccontato alcuni retroscena gustosi, tra i tanti del suo passato, anche privato, emersi dalla Masterclass ospitata dalla Festa del Cinema di Roma 2022.

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Quasi 40 anni da Le Dernier Combat, si sente la nostalgia?
Certo, ma è roba vecchia. Interessante semmai è il fatto che oggi non si riescano più a fare film così. All’epoca tutti ci avevano detto NO, ma avevamo tutti 20 anni, e lo facemmo lo stesso con i soldi che mi diedero quattro amici, uno – senza una gamba – prendendoli dalla sua assicurazione e un’altro attingendo all’eredità della nonna morta. Il primo giorno di riprese, avevamo l’equivalente di 300 euro, sufficienti a fornire i pasti alla troupe per due giorni. Nei quali avremmo dovuto girare del materiale fantastico per poter impressionare tutti e dire loro che non li avremmo pagati. Sono rimasti per 11 settimane.

E hanno reso possibile Subway
Loro e la Dolby. Subway è stato il primo film girato col Dolby in Francia. Era qualcosa di nuovo e nessuno lo voleva. Ma noi non avevamo soldi, per cui sono andato da loro a propormi come cavia per provare il nuovo sistema. Avevamo messo il mixer su una tavola, e ogni due ore ci fermavamo per tre ore, durante le quali giocavamo a ping pong aspettando di poter riprendere.

Perché Le Grand Bleu fu tanto criticato, lo ha capito?
No. E’ un film senza violenza, sesso o politica, ci sono dei delfini, dei ragazzi nell’acqua, perché sparare su questo film? Forse sono stato ingenuo, ma poi ho capito che per per 11 mesi i critici aspettano Cannes per saltarti addosso. L’importante è che il tuo film non venga proiettato nei primi tre giorni, poi si calmano, vanno in spiaggia e va meglio.

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Poi Nikita, Léon, fino a Il quinto elemento
Iniziai a scriverlo a 16 anni, quando ero ancora a scuola. Mia madre viveva in campagna e quando aprivo la finestra vedevo le mucche, e a quell’età avevo bisogno di sfuggire alla realtà che vedevo. Alcool e droga non mi han mai detto nulla, i taxi volanti sì. A partire da questa mancanza ho inventato un’altra vita, ho scritto 200 pagine che ho buttato, poi altre 200 che han fatto la stessa fine, ma le successive 400 le ho conservate. Avevo scritto 600 pagine solo su come funzionava quella società, non le ho messe nel film, ma se voleste sapere come comprare una casa o come si mangiava all’epoca, posso dirvelo. Certo, anche per questo ci son voluti 15 anni per farne un film… non devo essere molto dotato.

Non sembra, soprattutto per quel che ha inventato, forse grazie a una passione per la fantascienza? O sono altri i generi che preferisce?
Mi piace esplorare, visitare, scoprire, imparare. Faccio fatica a tornare allo stesso argomento. Di tutti i generi non frequenterei solo l’horror o il western, c’è gente che lo fa benissimo. Ma in generale – ripensando ai 150 film prodotti oltre ai 18 realizzati da regista – ci sono dei film dei quali son molto fiero del regista e non credo che avrei potuto fare di meglio, come Danny the Dog di Louis Leterrier, Taken, Dikkenek di Olivier Van Hoofstadt. Per come la vedo io, normalmente i registi vanno d’accordo tra di loro, io stesso ammiro molto Xavier Giannoli e Leconte… loro non sanno fare i film che faccio io e io non so fare i loro. Ci vogliamo bene, non cuciniamo gli stessi piatti.

Eppure la fantascienza, ritorna…
Già un film in sé, è fantascienza. Io non sono persona colta, non leggo molto, non ho diplomi, ma il bello della fantascienza è che si può reinventare tutto, qualsiasi cosa. E io amo questa possibilità di proiettarsi in avanti e creare ciò che è impossibile. Il passato è una forza, ma a volte anche un peso. La fantascienza invece ha questa leggerezza. E’ l’ultimo grande territorio da esplorare, quello del futuro, perché nessuno lo conosce.

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Eppure tra Valerian e Lucy, ha sperimentato anche in quel senso…
Istintivamente ho paura di perdere immaginazione ad avere a che fare con il digitale, non mi fido di toccare troppi bottoni. Valerian ancora oggi è il film più costoso fatto in Francia, ma abbiamo pagato tutti, e ne sono molto contento. E’ un piacere pagare le persone per quello che meritano, poi fanno un lavoro migliore.

E il suo, di futuro?
Durante il Lockdown ho fatto un lungometraggio con il cellulare, ero a Los Angeles e ho dovuto dire a tutti che stavo facendo un film per il compleanno di mio cugino. Ogni sei minuti passava un’auto della polizia, ma appena sparivano facevamo le riprese con il drone. A tutti i giovani dico: avete un telefono, un computer e youtube, non avete bisogno dei vecchi, dimenticateci!

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Non è una novità per lei girare col cellulare…
L’anno prossimo forse vedrete June and John, una storia amore tutta girata col cellulare. Non ci crederete eppure è stato possibile, lo tiravo fuori dalla tasca e ordinavo: ciak si gira. Vedo troppi giovani oggi che pensano si debba avere una troupe seria o una grossa macchina da presa per fare un film, avete 20 anni, lasciate perdere.