30 ANNI DA DIVA: HAPPY BIRTHDAY, SCARLETT JOHANSSON!

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Con quella parrucca rosa, la sigaretta tra dita e la testa poggiata malinconicamente sulla spalla di Bill Murray nel Lost In Translation di Sofia Coppola, Scarlett Johansson segnava la svolta decisiva della sua carriera. Dal ruolo della sola e infelice Charlotte nel film dalle sfumature autobiografiche della regista statunitense, la Johansson, in poco più di dieci anni, si è imposta come attrice simbolo dell’industria cinematografica internazionale.

Trent’anni e una carriera di venti alle spalle. Cresciuta in un’ambiente culturalmente stimolante, da padre architetto e madre produttrice, già in tenera età inizia a partecipare a provini per diversi spot televisivi. Il suo debutto come attrice avviene però a teatro, all’età di otto anni, dove affianca Ethan Hawke per una produzione Off Broadway dal titolo Sofistry. Il suo esordio cinematografico non si fa attendere e dal 1994, con Genitori cercasi, prende parte, con piccoli ruoli, ad una serie di pellicole che la portano al suo primo successo: il ruolo di Grace ne L’uomo che sussurrava ai cavalli di Robert Redford. Prima tappa grazie alla quale ottiene notorietà e il ruolo della giovane pianista Birdy nel bellissimo L’uomo che non c’era dei fratelli Joel e Ethan Coen.

Nel 2003, dopo il già citato Lost In Translation, si impone all’attenzione di stampa e pubblico, prestando il volto alla giovane protagonista di uno dei dipinti più famosi del mondo in La Ragazza con l’orecchino di perla di Peter Webber. L’anno successivo riesce a coronare il suo desiderio di interpretare la turbolenta Purslane in Una Canzone per Bobby Long, adattamento cinematografico del romanzo Off Magazine Street di Ronald Everett Capps, dove affianca un John Travolta in stato di grazia in una pellicola che ha tutta l’intensità di una ballata blues.

Dal 2005, con Match Point, inizia quel sodalizio artistico con Woody Allen che combacia con la trilogia inglese e la trasferta europea del regista newyorchese che alterna interpretando film più commerciali (The Island, Il Diario di una Tata), collaborazioni con registi del calibro di Brian De Palma (Black Dahlia) ed incidendo dischi (Anywhere I Lay My Head) non particolarmente brillanti. Nel 2010 prende parte a due progetti diametralmente opposti. Torna a teatro, calcando il palco di Broadway con il ruolo di Catherine nel dramma Uno sguardo dal ponte del drammaturgo Arthur Miller e da corpo a Natasha Romanoff, la Vedova Nera dei fumetti targati Marvel Comics, in Iron Man 2 (stesso ruolo che tornerà a rivestire nel film campione d’incassi The Avengers).

Capace di modulare la sua recitazione e la sua fisicità al servizio di ruoli contrastanti (da Under The Skin a Don Jon), Scarlett Johansson ha dimostrato il suo innegabile talento in quella che, finora, è stata forse la sua sfida attoriale più stimolante: prestare la voce al sistema operativo che fa battere il cuore al Theodore Twombly di Her, diretto da Spike Jonze. La sua intelligenza poi le ha permesso di sfruttare, traendone vantaggio, il continuo e limitativo considerarla un simbolo di sensualità interpretando il ruolo di Maggi nel rifacimento teatrale di Una Gatta sul tetto che scotta, classico di Tennessee Williams, interpretato sul grande schermo da Liz Taylor. Ha fatto del suo corpo un marchio di fabbrica che utilizza per le campagne pubblicitarie di brand prestigiosi (Louis Vuitton, Dolce & Gabbana, L’Oréal) senza però rimanere relegata nel ruolo di semplice icona sexy. Quella stessa notorietà le è servita infatti per supportare la campagna elettorale del 2008 in favore di Barack Obama e i diritti per le coppie gay.

Trent’anni, una carriera solida, una stella sulla Walk of Fame, due matrimoni all’attivo e una figlia. Sembrerebbe che Scarlett Johansson abbia già avuto tutto. Forse l’unico augurio che possiamo farle è che arrivi presto il ruolo che le permetta di stringere tra le mani l’ambita statuetta d’oro.

Manuela Santacatterina