85 ANNI D’AVVENTURA: AUGURI A BUD SPENCER!

0

Che vita quella di Carlo Pedersoli (Napoli, 31 ottobre 1929, quindi prima di ogni, augurissimi di cuore)! Bud Spencer lo diventò “solo” nel nel 1967 (ci arriveremo tra qualche riga), ma nel frattempo era già riuscito ad avere una vita bastante per tre.
Con un fisico statuario che faceva provincia – 1 e 93 di altezza per 120 chili (ai tempi della massima notorietà) – e senza la barba (che sarebbe arrivata per esigenze di set), Carlo Pedersoli, partenopeo mezzo bresciano, presto trasferitosi a Roma e un po’ più avanti in Brasile con i genitori, è stato (studi di chimica, giurisprudenza e sociologia mai conclusi e non tutti per colpa sua): dal 1949 nazionale medagliato italiano di nuoto (tra l’altro il primo azzurro a scendere nei 100 stile libero sotto il minuto: 59′ e 5” per la precisione), giocatore di rugby, comparsa in Quo Vadis? (1951, il film che ha inaugurato l’invasione cinematografica americana a Cinecittà, segno dunque del destino), attore (notato in Un eroe dei nostri tempi di Monicelli) e poi ri-emigrato in Sud America a costruire la Panamericana tra Venezuela e Colombia e quindi venditore di macchine a Caracas. La dorata ma animata gioventù si conclude con il rientro a Roma, un’ultima partecipazione alle Olimpiadi del 1960 e il matrimonio con la figlia del pirotecnico e attivissimo produttore Peppino Amato (avrà due figli, seguiti nel 1972 da una terza). Voi direte: mo’ finalmente arriva il cinema e il grande botto! Beh, non ancora, prima scrive canzoni per la RCA (per Nico Fidenco e Ornella Vanoni tra gli altri) e diventa produttore di documentari per la Rai, peraltro sempre stra-indaffarato per pagare la cambiali (il suocero nel frattempo è morto).
L’anno per noi fatidico è il 1967. Giuseppe Colizzi lo vuole in uno spaghetti western (gli serve un omone). Lui che manco sa cavalcare, accetta discutendo per la paga (le cambiali!). Il titolo, succoso come lo erano allora in una industria fertile come la cinematografia italiana, era Dio perdona…io no!. Lì recitava tra l’altro con un giovanotto che aveva avuto esperienze anche con Visconti (Il Gattopardo): Mario Girotti. A entrambi – allora si usava – venne chiesto uno pseudonimo yankee. Lui per sé scelse Bud Spencer (in onore di Spencer Tracy), Girotti diventò Terence Hill.
La strana coppia si era così quasi formata e con Lo chiamavano Trinità (1970, di E. B. Clucher, al secolo Enzo Barboni) esplose in tutto il mondo. Ve lo ricordate nei panni “pecorari” di Bambino (il suo personaggio) vero? Una sorta di Maciste/Obelix dai modi pacati, almeno finché non gli saltava la mosca al naso. Allora guardava lo spettatore (quel “bruciare lento” che aveva “copiato” benissimo da un peso massimo della comicità, Oliver Hardy) e con quattro sganassoni (ah, i cascatori dell’epoca che acrobazie!) sistemava un intero saloon, mentre il furbo, veloce Terence Hill/Trinità si limitava al minimo indispensabile (ma letale). E poi via con una plebea scorpacciata di fagioli (che agli atavicamente affamati italici ha sempre provocato contagiosa simpatia). 

Il comico nel western fu davvero un’ideona. Da ampliare poi in tutti i generi. Insieme girarono 16 film come coppia protagonista. Tanti, da trasformarli in star internazionali (per dire: nel 1979 Bud Spencer ricevette in Germania il premio come attore più popolare). Ma non è che da solo sfigurasse o non avesse successo. La sua comunicativa, magari essenziale fatta di astuti ralenti, bronci e risate omeriche e bonomia (sempre per tacer del fisico) gli hanno permesso di primeggiare anche senza il partner. Magari con Dario Argento (in 4 mosche di velluto grigio), per fare poker con i 4 Piedoni (diretti dall’ottimo Steno).
Non è facile stare sempre in vetta, anche quando si è amatissimi. Quindi la coppia negli ’80 sbiadisce e, da solo, si riciclerà felicemente, persino in fortunate serie per il piccolo schermo (lo ricorderete senz’altro in Big Man e Poliziotto extralarge). La sua passione principale (non è mai stato tipo da star fermo) si trasferisce allora al volo, diversifica le sue attività diventando pilota di elicotteri. Fonda una compagnia aerea, lancia una marca di jeans e compone qualche canzone; ma anche nella sua piena maturità, noi divoratori di cinema riusciamo ancora oggi senza fatica a ricordarlo in un esilarante cameo per Pieraccioni in Fuochi d’artificio (1997) e poi protagonista assoluto nel peraltro non molto riuscito film in costume di Ermanno Olmi Cantando dietro i paraventi (2003).
Nel 2010 il cinema italiano si sdebita con lui e Terence Hill, premiandoli con il David di Donatello alla carriera. Ma maggiori e più esaustivi particolari li troverete nella autobiografia (Altrimenti mi arrabbio, firmata in coppia con Lorenzo de Luca), mentre quest’anno ha dato anche alle stampe un libro in cui parla di gastronomia (con riflessioni personali): Mangio ergo sum.
Ci congediamo con la classifica dei 5 suoi film da mettere nella videoteca ideale. A personalissimo giudizio, citerò così anche (oltre agli altri menzionati e lo so che è una “furbata” per evitare scelte dolorose): I quattro dell’Ave Maria (1968), …continuavano a chiamarlo Trinità (1971). Anche gli angeli mangiano fagioli (1973, questo è con Giuliano Gemma!), …altrimenti ci arrabbiamo! (1974), Il soldato di ventura (1976, in cui recita – non so se per la prima volta – con la sua vera voce, cavandosela benissimo).

Massimo Lastrucci