Festival di Locarno: “Sparring”, storia di pugilato e di famiglia

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Sabato in Piazza Grande, al Festival di Locarno, di scena la boxe con Sparring di Samuel Jouy

Fa strano un film europeo, anzi francese, sul pugilato. Fa ancor più strano che il protagonista, Steve Landry, sia interpretato da Mathieu Kassovitz, che non è decisamente un tipo nerboruto. Ma la cosa ha senso perché il suo è il classico peso welter che a 45 anni si ritrova a fine carriera, naso rotto e cicatrici, con un’impressionante galleria di incontri persi e solo 13 vinti. Ma è un ottimo marito e un gran padre e per chiudere in bellezza e per assicurare un pianoforte al figlio dotato per la musica, si propone come sparring partner per l’emergente talento Tarek M’Barek, un “danceur” dai pugni micidiali.

“Non voglio che tu finisca come un vegetale!” gli intima la moglie (la interpreta Olivia Merilathi che oltre a essere molto fotogenica e comunicativa è anche l’autrice delle musiche originali: come dire paghi uno e compri due). Ma Steve è intelligente, caparbio e sa come si prendono i cazzotti. Dramma (leggero) domestico ed etica dello sport vissuta dentro la pelle da quelli della seconda fila, che sanno, soffrono e continuano. Ovviamente Samuel Jouy, regista al debutto nel lungometraggio dopo un corto nel 2000, Mortels, ha ben presente il romanticismo da loser di gloriosa tradizione sportiva americana (da Una faccia piena di pugni a Fat City sino alla storia vera trasfigurata in favola di Cinderella Man), gira nei limiti del ring delle convenzioni e fa brillare nel pathos (e nel buonismo) il dietro le quinte e l’umanità spicciola di gente che se punta a campare e sbarcare il lunario lo fa facendo quello che più ama. In questo caso boxare.

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