“I FIGLI DELLA NOTTE”: L’ESORDIO DI ANDREA DE SICA CHE RICORDA LYNCH E “SHINING”

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Nel collegio austero, anzi cupo, nel cuore delle Alpi altoatesine  finiscono i rampolli dei super ricchi che hanno qualche problema caratteriale o di rendimento scolastico. “L’isolamento non è una mancanza, ma una possibilità. Quella di concentrarvi su voi stessi. Siete la classe dirigente del futuro”, così vengono accolti. Ma Giulio ed Edoardo (quest’ultimo una sorta di Lucignolo molto, ma molto borderline) hanno altri piani. Innanzitutto non vogliono assolutamente sottomettersi al clima soffusamente carcerario e ovattato che li circonda. Così quando, zingarando una notte lungo un sentiero tra i boschi, si imbattono addirittura in un locale notturno, con tanto di accompagnatrici e zona privé, par loro di aver trovato il rifugio giusto per loro (“questo posto è di uno squallore sconcertante. Per questo mi piace”). Specie l’apparentemente più fragile Giulio che si lega a Elena, una entreneuse di poco “più vecchia” di lui (ha giusto 20 anni). Ma il collegio ha i suoi segreti, le sue spie e, soprattutto, le ribellioni hanno il loro prezzo.

Debutto di un figlio d’arte e unica opera italiana in concorso al TFF, I figli della notte è un racconto di formazione che devia volentieri verso la favola nera. Andrea De Sica, figlio di Manuel e della produttrice Tilde Corsi, però più che a nonno Vittorio o zio Christian sembra ispirarsi a numi tutelari meno consueti, almeno all’interno del nostro piccolo mondo cinematografico. Infatti non per caso è stato tirato in ballo (un po’ da tutti) il nome di David Lynch, per quel gusto della tensione incombente che un ottimo uso della colonna sonora istilla ed eccita (tra elettronica, classica, i Matia Bazar e Vivere cantato da Pavarotti). Altro riferimento obbligatorio è poi Shining con l’Overlook Hotel (beh, qui è il Grand Hotel Dobbiaco), almeno per come la macchina da presa incede, lenta e inquietante, tra i corridoi a tinte acido-fredde dei locali. Altri ancora han parlato di Bellocchio, ma questo più che altro per il clima isterico di sopraffazione anche psichica che domina tra gli studenti del collegio. Le magagne invece – che ci sono – vanno trovate in una sceneggiatura più manierata e citazionista che non strutturata in maniera consequenziale (a volte i personaggi sembrano partire per la tangente), mentre alla recitazione un po’ inevitabilmente acerba alla fine quasi ci si abitua (anche perché gli adulti, in quanto a intonazioni non scherzano). Comunque i due protagonisti si chiamano Vincenzo Crea e Ludovico Succio.

“Volevo spostare il confine di una storia di adolescenti a un film di genere”, afferma il 34enne cineasta e questo è comunque già prova di un’attenzione particolare e originale verso temi poco praticati nella nostra cinematografia. Il risultato magari è un po’ sbilenco – da opera prima appunto –  ma quando funziona, funziona davvero.