IL MIO GRANDE DOLORE

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«Hola. ¿Qué tal?». Julio Médem infila parole e emozioni, racconta il suo viaggio in bilico tra Madrid e Düsseldorf, tra sceneggiature chiuse in un cassetto e una telefonata di Penélope. «Ho scritto Ma Ma quasi dieci anni fa», spiega il regista basco, «dopo una visita al Kunstsammlung, il Museo d’Arte di Düsseldorf. Rimasi affascinato da una scultura di Thomas Schütte: raffigurava una donna che si trascinava sul pavimento per il dolore e non si capiva se per una malattia o per il parto. Da quella scintilla è nato il film». Nella sceneggiatura di Ma Ma – in sala dal 16 giugno e presentato in anteprima al Biografilm Festival di Bologna – quella donna è diventata Penélope Cruz che per Médem ha letteralmente sabotato il suo status di sex symbol diventando la vitale e dolente Magda, insegnante con un figlio che scopre di avere un tumore al seno.

«Penélope qui è un corpo, il suo seno non è più oggetto di attrazione sessuale, ma una parte da curare. L’intenzione era far emergere la vitalità prorompente di questa donna. Nonostante tutto, nonostante tutti. Negli ultimi vent’anni avevo chiesto a Penélope per ben tre volte di interpretare un mio film, ma per un motivo o per l’altro non se n’era mai fatto nulla. Qui mi ha sorpreso, sono rimasto incantato: ha un modo di recitare immenso». In una delle scene più belle della prima metà del film, la Cruz è addormentata su un divano, intontia dalla prima chemioterapia, la sera della finale degli Europei del 2012: Spagna – Italia 4 a 0. «Ma non ce l’avevo con voi», ride Médem, «non volevo infierire. Mi piaceva l’idea di un popolo festante attorno a Magda, anche perché quel 2012 fu un momento particolare per noi spagnoli: mentre la squadra di calcio stava dando il meglio e trionfava, il Paese era in ginocchio, distrutto da una crisi economica terribile. Paradossalmente però, quelle vittorie aiutarono molte persone a livello psicologico».

A fianco di una monumentale Cruz, ecco un altro attore magnifico quanto poco celebrato (almeno in Italia), il galiziano Luis Tosar, qui osservatore del Real Madrid perso in un altro dramma più grande di lui. Al suo fianco, l’ironica e riuscita figura del dottor Julián, interpretato dalla rivelazione Asier Etxeandia che, a un certo punto del film, si mette a intonare Vivir di Nino Bravo, divo pop spagnolo scomparso nel 1973 a soli 28 anni in un incidente stradale. «Poteva essere un rischio, è vero, mescolare i toni, sembra quasi un musical in quel punto», riflette Médem, «ma dopo aver visto Asier a teatro ho iniziato a pensarci». E proprio quella canzone, con la sua lunga lista di verbi (“Pensar, hablar, soñar, llorar, luchar, reír, sentir, amar, sufrir”) diventa così quasi il simbolo di Ma Ma. «Sì, perché il film racconta una tragedia, ma allo stesso tempo vuole trasmettere al pubblico un messaggio vitale molto forte: bisogna essere grati per la vita, bisogna essere vivi perché quando devi affrontare la morte capisci cosa significhi davvero. E dal dolore può nascere la vita, come in questo caso».