RICHARD GERE: «IN ‘FRANNY’ INDAGO LA COMPLESSITÀ DELL’ANIMO UMANO »

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L’attore statunitense è sbarcato a Roma per presentare Franny, opera prima di Andrew Renzi, nel quale interpreta l’eccentrico filantropo in lotta con i sensi di colpa che scandiscono la sua vita. In sala dal 23 dicembre in 150 copie grazie a Lucky Red

Richard Gere
Richard Gere a Roma (foto di Pietro Coccia)

Franny è un brillante quanto eccentrico milionario filantropo di Philadelphia che ha trovato nella beneficenza il senso della sua esistenza trascorsa tra raccolte fondi e la costruzione di ospedali pediatrici che cerca di rendere il più accoglienti possibile per i piccoli pazienti che dovranno trascorre tra quelle corsie mesi e mesi lontani da casa. Non ha una sua famiglia. Gli unici affetti sinceri e presenti sono Mia e Robert, la coppia di migliori amici conosciuta ai tempi del college con la quale ha un rapporto simbiotico. Alla morte improvvisa e violenta dei due la sua vita va in frantumi e Franny inizia così a nascondersi dietro i sensi di colpa che cerca di far tacere abusando di dosi pesanti di farmaci contro il dolore. A cinque anni dall’incidente nel quale è rimasto coinvolto in prima persona, nella sua vita torna Olivia, la figlia dei due amici, e il bisogno di rimediare agli errori del passato lo porterà a superare i limiti, facendo emergere una verità taciuta per anni. Quella di Franny è dunque una storia sul bisogno di perdono e sulla personale discesa negli Inferi del protagonista, un uomo braccato dai rimorsi. «Spesso mi chiedono perché non scelgo cose più facili da interpretare ma chi dice che semplice sia meglio? Non c’è nulla di semplice nella vita quindi perché ridurla così? Per me più è difficile più è divertente. Siamo creature complesse e voglio cercare di scavare in profondità in ogni personaggio come ho fatto con Franny » esordisce un energico ed affabile Richard Gere, a Roma per presentare la pellicola che arriverà nelle nostre sale il prossimo 23 dicembre. (continua dopo la gallery)

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Richard Gere in "Franny"
Richard Gere in “Franny”

In Franny è senza dubbio la sua interpretazione a catturare l’attenzione dello spettatore. Una prova attoriale che Gere modula giocando sui registri, spingendo al limite ogni sfumatura caratteriale per costruire le molteplici variabili che ne costituiscono la camaleontica personalità. «Il film si poteva fare in molti modi. Avremmo potuto evidenziare l’aspetto di Franny da stalker della giovane coppia o la sua tossicodipendenza, ma ci saremmo ridotti ad un cliché. Mi premeva che il mio personaggio fosse sfaccettato e volevo portare più ironia possibile nel film. Credo che più la situazione diventa drammatica, nel film come nella vita, più l’ironia assume un tono importante trasformandosi in umorismo nero », continua l’attore che per interpretare il milionario filantropo ha dovuto scavare a fondo nel dolore di un uomo che si trincera dietro una facciata di entusiasmo ma che, nel privato, vive il dramma di una mancanza della quale si sente il principale responsabile e che costruisce anche per ellissi, lasciando zone d’ombra che ne amplificano l’ambiguità. «Ci tenevo a lasciare un alone di mistero sulla sua sessualità. Durante le prime proiezioni private del film tutti chiedevano quale fosse l’orientamento sessuale del mio personaggio. Ritengo sia meglio non saperlo perché nella storia è irrilevante e volevo evitare ogni etichetta ».

franny_5Dopo aver lavorato con registi del calibro di Terrence Malick, Francis Ford Coppola, Sidney Lumet e Todd Haynes, oggi Richard Gere trova molto stimolante prendere parte a pellicole a basso budget di registi emergenti che permettono un approccio diverso al lavoro dell’attore e alla realizzazione pratica e narrativa.Una sfida che ha colto al volo quando ha ricevuto lo script di Franny. «A differenza dell’Italia, in America con 6/7 milioni di dollari si realizza un film di fascia medio bassa. Credo che se sai quello che vuoi raccontare e sai come farlo, sia possibile realizzare un buon prodotto. Mi piace la velocità nel girare. Franny l’abbiamo realizzato in soli 31 giorni. Questo permette di essere molto spontanei e concentrati sul set. Inoltre si mantiene la freschezza della recitazione ». E, riferendosi al suo rapporto con il giovane regista emergente, ha aggiunto: «Andrew ha scritto sia la sceneggiatura che il personaggio principale. Aveva già fatto dei corti, sapeva come creare dei movimenti di macchina e aveva un forte senso estetico. Più lavoravamo insieme sul set, più ero sicuro della mia scelta. Sul set si è creato un clima di forte fiducia anche perché stava raccontando un storia personale, aveva tutto dentro di sé ».

franny_2Nella pellicola, nel cui cast figurano anche Dakota Fanning e Theo James, Gere ha contribuito anche ad apportare delle modifiche sul piano narrativo – «credo di non aver mai lavorato in un film in cui la sceneggiatura non sia cambiata in corso d’opera » – che hanno permesso, insieme al lavoro congiunto del team creativo e dei produttori, di indirizzare la storia verso la sua versione definitiva. «In una sceneggiatura cerco la sorpresa. Ci sono script ai quali tengo molto, come per Time Out of Mind che ho seguito per dodici anni, mentre altri mi sono arrivati all’improvviso e me ne sono innamorato, impegnandomi a farli nascere. Alla base però ci deve sempre essere un’umanità ed il rispetto per la complessità della natura umana ».

Gere è uno degli attori simbolo di Hollywood anche perché non ha esaurito le sue carte in una sola stagione, ma ha saputo modulare il suo talento al mutare stesso dell’industria cinematografica. Con una certezza incrollabile: l’importanza della sala. «Non so se è perché non sono più giovanissimo o perché ho iniziato negli anni ’70 ma sono abituato all’esperienza cinematografica e non voglio perdere l’emozione di ritrovarmi nel buio di una sala con un gruppo di sconosciuti a condividere le stesse sensazioni. In America ci sono prodotti di altissimo livello televisivo grazie a HBO, Showtime, Amazon e Netflix, in alcuni casi anche migliori del cinema e sono consapevole che questo è un momento di grande cambiamento, ma spero che nel futuro continuino ad esistere piccole sale che proiettino ancora film. Mi piacerebbe lavorare anche qui in Italia, magari in un prossimo film di Bernardo Bertolucci. Spero ci sia l’occasione. Ma oltre a lui sono tanti i registi italiani di talento al momento ».

Manuela Santacatterina